“Ciao”
La voce di Chiara mi arrivò da dietro, quasi un sussurro. L’impressione fu quella di una voce molto vicina, simile a quella del sogno di qualche giorno prima, e mi immaginai la sua bocca a pochi centimetri dal mio orecchio. Per un attimo avvertii i peli della nuca rizzarsi in maniera imprevista e mi sentii piuttosto in imbarazzo.
Ero appena entrato in ufficio e mi ero chiuso il portone alle spalle dirigendomi dritto verso le scrivanie delle segretarie, stranamente deserte, quando percepii il suo saluto.
Mi girai lentamente.
Chiara in realtà non era così vicina. Era appena uscita dalla toilette, che rimaneva sulla sinistra dell’ingresso, e stava distrattamente frugando nella sua borsa dopo avermi salutato come tutti i giorni. Il silenzio del piccolo atrio deserto aveva amplificato la sua voce dandomi l’impressione che fosse proprio dietro di me.
“Ciao” risposi con tono neutro, aspettando che mi raggiungesse mentre colmava quei due passi che ci separavano.
Lei teneva sempre lo sguardo alla borsa e per poco non mi urtò. Si arrestò sorpresa quando intuì che mi ero fermato ad attenderla e alzò gli occhi verso i miei. Erano veramente belli.
Io in genere avevo difficoltà a conversare con gli altri guardandoli negli occhi. Istintivamente ero portato a concentrarmi sulla bocca. Avevo l’impressione che fissando gli altri negli occhi ne violassi l’intimità e che gli altri violassero la mia.
In quel momento però rimasi a guardare i suoi perché ero affascinato dalle minuscole variazioni di azzurro ceruleo e blu cobalto che li caratterizzavano. Non stavo fissandola negli occhi, glieli osservavo come si fa con un quadro.
Anche lei, per un attimo, dovette trovare qualcosa di interessante nei miei, perché la vidi attenta e concentrata, poi sembrò rendersi conto che non era uno sguardo casuale se si protraeva troppo a lungo, così lo distolse volgendo di nuovo la sua attenzione alla borsa che stava cercando di chiudere con un po’ di difficoltà.
“Cosa ti sei persa lì dentro?” chiesi con una risatina nervosa indicando la borsa col mento.
Ci fu un momento di silenzio impacciato.
Tornò a guardarmi, ma stavolta con uno sguardo furbetto che sbirciava tra la frangia nera del capo chino.
“Il filo del discorso, me sa.” disse con una smorfia.
Non feci in tempo a replicare che la porta dell’amministrazione si aprì lasciando uscire Franca, la quale si soffermò sulla soglia un attimo a fissarci prima di richiudersela alle spalle.
“Cosa state complottando voi due?” chiese con un sorriso complice andando a sedersi alla macchina da scrivere.
Chiara si affrettò a raggiungere la propria scrivania mentre io risposi serioso: “Si stava discutendo dell’opportunità di mettere un semaforo in questo atrio per evitare scontri tra chi va e chi viene”
“Uh” fece Franca, spostando gli occhi leggermente sgranati verso la collega che si limitò a stringersi nelle spalle, replicando con un “Ma figurati.” prima di sedersi a sua volta.
Non mi sentivo in vena di schermaglie ironiche, come era costume tra noi tre quando eravamo in forma. Mi limitai ad un cenno di saluto alzando stancamente una mano e mi incamminai lungo il corridoio diretto al mio antro.
La voce di Franca mi inseguì: “Ma chi è che veniva da destra?”
“Nessuno veniva da destra,” risposi senza fermarmi “è stato solo un rischio tamponamento”
“Non ho rispettato la distanza di sicurezza!” disse Chiara ad alta voce.
“Devi fare attenzione,” la canzonò Franca “non hai dei grandi paraurti”.
Entrambe scoppiarono a ridere mentre io ormai avevo già imboccato la porta del laboratorio.
Mentre cominciavo la solita routine quotidiana mi sentivo strano. Un po’ euforico e un po’ depresso. C’era un pensiero che non riuscivo a togliermi dalla testa.
Preparavo i campioni di acqua da analizzare, attaccavo le etichette alle bottiglie, preparavo la soluzione saponata per le prove di durezza, ma qualunque cosa facessi ormai quel pensiero si era fissato nella mia mente.
Cercai di scacciarlo mettendomi subito al lavoro. Mi apparecchiai tutti gli strumenti vicino al lavello e mi sedetti per cominciare. Una fila ininterrotta di formiche entrava dal finestrotto che dava luce a quell’angolo altrimenti buio del laboratorio, passava sopra il bordo del lavello e si perdeva in una fessura del muro, indifferente alla mia persona ed ai miei pensieri.
Quasi per dispetto riempii una pipetta di sapone e spinsi il sottile getto lungo il camminamento delle formiche per ostacolarle. Rimasi sorpreso e affascinato dal fatto che a contatto della sostanza queste non venivano solo infastidite, come mi aspettavo, ma rimanevano letteralmente fulminate all’istante. Gettai un’altro piccolo schizzo nel foro del muro e nel punto di ingresso. In un attimo nel laboratorio non c’erano più formiche vive.
Divertito dalla scoperta cominciai ad andare a caccia di nuove vittime negli angoli più remoti dell’intero laboratorio, ma trovai solo i resti ormai rinsecchiti di una piccola scolopendra sotto al lavandino.
La caccia alle formiche era servita a distrarmi per qualche momento, però quando cominciai a lavorare sul serio quel pensiero tornò a farsi avanti.
Fare le misure di durezza dell’acqua è un lavoro metodico e noioso. Si tratta di prelevare un campione di acqua, versarvi dentro con una pipetta un quantitativo fisso di uno specifico sapone liquido e poi scuotere a mano il tutto per un tempo prefissato. Si forma così uno strato di schiuma sulla superficie del campione il cui spessore va misurato ad indicare il grado di durezza.
All’inizio di questa mia attività in punizione ci mettevo molto impegno ed attenzione, ma ormai le mie azioni erano completamente automatiche e potevo tranquillamente vagabondare tra mille altri pensieri contemporaneamente.
E quel giorno il mio pensiero ormai fisso era Chiara al gabinetto.
Chiara seduta sulla tazza, le mutande alle caviglie, mentre faceva pipì era un’immagine che non riuscivo a scacciare.
Fino a quel momento Chiara per me era stata sempre un essere asessuato. Ad esclusione di ciò che si vedeva, non aveva neppure la pelle sotto i vestiti; i suoi abiti erano la sua pelle, come una bambola di stoffa. Era una presenza scenica della mia vita di ufficio, con cui scambiare ogni tanto qualche parola, non una persona reale in carne ed ossa. Così come tutte le altre persone dell’ufficio in fondo.
Carne. Invece adesso la vedevo per la prima volta come carne, sangue, e un sesso ben preciso che faceva pipì.
Realizzavo in quel momento che aveva lo stesso sesso che guardavo eccitato in certi giornali che compravo, non senza un qualche imbarazzo, alla stazione Termini.
Per la prima volta mi trovai a dover ripetere una misurazione. Mi ero incantato ad immaginare Chiara completamente nuda, con in più i suoi piccoli paraurti, e avevo lasciato che la schiuma nel campione si esaurisse.
Cercai di concentrarmi sul lavoro come nei primi tempi, ma quel pensiero stava diventando ossessivo. Decisi che dovevo fare una pausa per distrarmi. Mi serviva un caffé, anche se lo avevo già preso da nemmeno una mezz’ora, perciò abbandonai tutto per scendere al bar di Piazzale Flaminio.
Infilai spedito il corridoio e mi sforzai di non pensare al sesso di Chiara una volta che le fossi inevitabilmente passato davanti per uscire.
Mentre mi avvicinavo all’atrio sentii un parlare fitto e qualche risatina dietro l’angolo del corridoio dove stavano le due segretarie.
Arrivato davanti alle scrivanie la mia comparsa destò una certa agitazione. Le due ragazze stavano confabulando presso la postazione di Franca. Franca era seduta al suo posto e Chiara era in piedi dietro di lei, china oltre la spalla dell’amica.
Al mio apparire alzarono contemporaneamente la testa e mi guardarono entrambe con un’espressione di sbalordimento. Franca si affrettò a chiudere un cassetto che teneva aperto, mentre Chiara, dopo essersi rialzata lentamente ed essersi messa a posto la frangetta con esagerata noncuranza, tornò al proprio posto.
“È tutto chiaro adesso?” le chiese Franca.
“Sì, sì” rispose distratta Chiara.
“E vedi di non farmele fare più certe figuracce.” finse di rimproverarla Franca, gettandomi uno sguardo complice.
Chiara, che nel frattempo si era seduta, si girò di scatto verso di lei come a voler protestare, ma poi tornò sbuffando al suo lavoro.
“Se hai bisogno di qualcosa, oggi puoi chiedere a me, ché la signorina qui ha le cose sue.” si rivolse a me Franca con un gran sorriso.
“Eddai!” si lamentò Chiara, ma tra i capelli che le coprivano in parte il viso notai un sorrisetto.
Non aveva una bella bocca, le labbra erano molto sottili, ma il suo sorriso mi piaceva. Se provavo ad immaginare lo stesso sorriso su un’altra bocca non ottenevo lo stesso effetto. Lei aveva le labbra giuste per quel sorriso.
“Ero solo qui di passaggio. Vado a farmi un caffé al bar perché stamattina non l’ho ancora preso” mentii.
Franca tossicchiò per attirare l’attenzione dell’amica.
“Oh, che combinazione,” disse “pensavamo proprio che ci servirebbe qualcosa dal bar. Cosa dici Chiara?”
“Non saprei. Sei tu la capa. Cosa hai in mente?”
“Una confezione di pastarelle? Non andrebbe?”
Chiara assunse un’espressione imbronciata, mentre si girava lentamente a guardarmi: “Mmh.. sì, perché no?”
“Ok allora.” disse Franca “Bruno, non ti scoccia vero portarci un vassoietto? Oggi siamo decise a rovinarci la linea.”
“Non c’è problema” ribattei io “che tipo di pastarelle volete?”
“Oh, fai pure tu. A tuo gusto, ci fidiamo” disse Franca euforica mentre si affaccendava nella sua borsa.
“Aspetta, ti do i soldi” aggiunse.
“Dai, non c’è bisogno. Offro io” mi opposi.
“Non se ne parla. Niente soldi, niente paste”
La passeggiata al Piazzale mi fece bene. Dopo un primo momento di crisi, durante il quale immaginavo ormai tutte le donne che mi passavano accanto mentre facevano pipì, riuscii a distrarmi concentrandomi nella scelta delle pastarelle.
Non mi avevano detto quante ne volevano e dovetti fare di testa mia. Prima mi orientai verso il numero di quattro poi ne aggiunsi una quinta sperando in cuor mio che me la offrissero per il disturbo.
La confusione dentro al bar, tra tintinnare di tazzine, colpi di filtro di caffé dietro al bancone e via vai di gente vociante, riuscì a rimettere in careggiata il mio cervello bacato, così, quando rientrai in ufficio, Chiara era tornata ad essere la bambola di stoffa come era sempre stata.
Intanto che ero fuori ne approfittai per comprarmi anche una birra ed un panino per il pranzo. Uscito dal bar mi recai in ultimo all’edicola per comprare anche il giornale, così non avevo più bisogno di uscire a mezzogiorno.
Al rientro confessai candidamente il giochetto del numero dispari di paste con l’espressione del cane bastonato che mendica un tozzo di pane.
Le due ragazze sorrisero apertamente. Chiara si sporse leggermente verso di me e con un sorriso perfido disse: “Me sa che t’ha detto male. Le paste non sono mica per noi.”
“Sono un regalo” cinguettò Franca.
Esalai un profondo sospiro di delusione.
“Che sfiga!” dissi.
“Ma non eravate voi a preoccuparvi della linea?” aggiunsi, dopo una breve riflessione.
“Beh, speriamo bene che qualcuno lasci qualcosa anche a noi” disse ridendo Franca, calcando il tono su quel ‘qualcuno’.
“Magari proprio la quinta tua” insinuò civettuola Chiara tornando a guardarmi con quei suoi occhi blu. Distolsi immediatamente lo sguardo.
Ma non si rendeva conto che aveva un’arma letale al posto degli occhi? Non poteva spazzare lo sguardo a destra e manca come niente fosse; non aveva gli occhi normali come tutti, avrebbe dovuto essere più responsabile. Andavano maneggiati con una cautela di cui lei non sembrava consapevole. Quegli occhi li doveva riservare solo ad un suo eventuale innamorato, ammesso che ne trovasse uno disposto a soprassedere su tutti gli altri difettucci. Per noi comuni mortali doveva dotarsi di un paio d’occhi di riserva, accidenti.
‘E non doveva andare al gabinetto’, continuai a pensare mentre mi ritiravo in laboratorio dopo avere brevemente salutato la compagnia.
A metà mattinata la routine aveva preso definitivamente il sopravvento sui miei disordinati pensieri. La musica di Joe Cocker faceva da sottofondo alle mie analisi mentre, tra un campione e l’altro, gettavo avide occhiate al bordo del lavello in cerca di piccole vittime a sei zampe da sacrificare al mio sadismo. Chiara e la sua pipì mi erano ormai indifferenti ad un punto tale da farmi dimenticare l’impegno preso con me stesso nei giorni passati.
In cuor mio sapevo che non ci sarebbe stata mai nessuna pizza. Io avrei continuato la mia vita come prima e lei la sua. Mi rendevo conto che non c’era nessuna infatuazione nei miei confronti e la cosa mi risollevava. Di positivo in questa storia mettevo che ora avevo con lei un rapporto più amichevole.
Per me, che ero uno straniero, la possibilità di avere un amico a Roma era una prospettiva bella. Non sarei stato così solo nei fine settimana; si sarebbe potuti andare in giro assieme e magari potevo entrare nella comitiva dei suoi amici, dove le ragazze più belle di lei certamente non dovevano mancare.
Però, per cominciare una amicizia, forse una pizza era d’obbligo. Almeno quello sforzo avrei dovuto farlo.
Mi strinsi nelle spalle. L’occasione non sarebbe mancata. Senza fretta.
Sentii bussare sommessamente e subito dopo la porta si aprì con esitazione. La testa bionda di Franca fece capolino, mentre dietro di lei intravidi la capigliatura corvina di Chiara.
“Possiamo entrare?” chiese Franca, facendo contemporaneamente un passo avanti senza attendere risposta.
“Prego.” feci io un po’ sorpreso “A cosa devo l’onore?”
Avanzarono quasi con cautela, dopo che Chiara si fu chiusa la porta alle spalle, con le braccia incrociate dietro la schiena e guardandosi platealmente attorno.
“Non ci vengo spesso qui,” disse Franca “però non mi ricordavo che non è proprio un posto dove farci una festa”
Chiara annuì con una smorfia.
“Non è vero” protestai ridendo “Adesso trovate un po’ di disordine solo perché l’ultima baldoria è finita da poco.”
“Che festa hai organizzato?” chiese Chiara incuriosita.
“Oh, beh!” risposi evitando di guardarla negli occhi “Ho fatto amicizia con una famigliola di pantegane e ogni tanto ci si vede qui per fare un po’ di casino”
Risero entrambe, poi Franca indietreggiò con fare teatralmente circospetto verso la mia scrivania, sempre con le mani dietro la schiena e senza perdermi di vista. Gettai uno sguardo interrogativo verso Chiara, ma i suoi occhi blu erano incautamente puntati su di me perciò tornai a guardare velocemente verso l’altra, che nel frattempo aveva posato sul ripiano della scrivania il vassoio di paste che io avevo comprato per loro.
“Auguri!” disse Franca con un gran sorriso.
“Auguri!” disse Chiara all’unisono dietro alle mie spalle.
Rimasi a bocca spalancata senza saper replicare.
Era il mio compleanno, ma non avevo mai pensato di festeggiarlo. Non lo sapeva praticamente nessuno e non avevo amicizie tali a Roma da sentirmi di condividerlo per festeggiare. Coloro ai quali pensavo veramente come amici erano tutti fuori in missione ed io avevo pensato di festeggiarlo in realtà durante il fine settimana che avrei passato a casa.
“Mancherebbe lo spumante, però non abbiamo osato chiederti di comprare anche quello perché avresti sicuramente subodorato la faccenda.” disse garrula Franca.
“Non c’era pericolo. Non sa manco che esistiamo!” mi rimbrottò Chiara con tono indolente.
Sorrisi impacciato.
“È certo una sorpresa” dissi “ma come facevate a saperlo?”
Chiara si avvicinò e mi prese sottobraccio con aria complice.
“Sai, ci sono i suoi vantaggi a frequentare l’ufficio del personale.” mi sussurrò all’orecchio.
Di nuovo sentii i peli della nuca rizzarsi, ma cercai di non farci caso.
“Io vi ringrazio, non so che dire. Mi avete proprio spiazzato” dissi, cercando di darmi un contegno mentre la mano di Chiara lasciava il mio braccio, ma io continuai a sentirne il calore sotto la stoffa della camicia.
“Non devi dire niente” affermò risoluta Franca “devi solo aprire il pacchetto e lasciarci dividere la quinta pastarella. Le altre sono tutte le tue”
“Ah no!” protestai ridendo “la quinta è la mia, voi vi dividete le altre quattro. I patti sono patti!”
“Ma come no! È la tua festa. Guarda! Abbiamo portato anche un raffinatissimo coltello di plastica proprio per dividerla.” disse Franca sventolandomi davanti al naso la posata.
“E io ho portato i tovagliolini di carta.” aggiunse Chiara posandoli sulla scrivania.
La guardai sospettoso perché continuava a tenere un braccio dietro la schiena. Franca intercettò il mio sguardo e si affrettò ad interporsi tra noi due.
“Naturalmente” disse “una festa di compleanno non è seria se non c’è anche il regalo. No?”
“E noi ti abbiamo fatto anche il regalo” aggiunse Chiara posando un pacchetto tutto infiocchettato sulla scrivania.
Lasciai cadere le braccia con gesto sconsolato: “Anche il regalo. Così mi volete proprio mettere in imbarazzo.”
“Ad un patto, però!” disse Franca posando risoluta una mano sul pacchetto “che tu lo apra solo dopo che saremo uscite di qui”
La guardai di sottecchi: “È uno scherzo allora!?”
“No, no!” si affrettò a rispondere “Non è uno scherzo. Anzi, è una cosa mo-olto seria. Però, conoscendoti un po’, preferiamo che tu lo apra quando noi siamo a distanza di sicurezza.”
Rise.
“Beh, non aspettarti chissà che.” disse Chiara timidamente “È solo un pensierino.”
“Che però ci ha tenute impegnate per una intera serata per trovarlo” aggiunse ironica Franca.
La festicciola fu piuttosto breve, stanti le urgenze di lavoro delle due segretarie, e le paste furono presto aggredite senza che nessuno dei tre si tirasse indietro. La più accanita delle mie avversarie nell’apprezzarle (io era noto a tutti come un goloso senza limiti) fu paradossalmente proprio Chiara, la più mingherlina del gruppo. Diceva che il suo metabolismo le permetteva qualunque stravizio.
Dopo che furono uscite guardai con sospetto il piccolo pacco regalo. Da una parte ero curioso di aprirlo, dall’altra ero titubante per paura di una delusione o peggio di uno scherzo.
Non era uno scherzo, almeno non completamente. Era un libro politico.
Tutti conoscevano le mie idee di comunista ortodosso e militante, con tanto di tessera del P.C.I. in tasca, e per questo ero sempre bonariamente preso in giro un po’ da tutti essendo l’unico in tutta l’azienda a professare apertamente tali idee con veemenza. Nessuno si interessava di politica ed io predicavo in pratica nel deserto. In ogni caso quasi tutti erano per lo più di idee moderate, se si escludevano un paio di colleghi di campagna, che si riconoscevano in Lotta Continua o Potere Operaio, e un dirigente, mio compaesano, che si professava socialista.
Di Franca non sapevo nulla, ma immaginavo avesse le stesse idee di Gianni che sembrava in tutto e per tutto un fascistone. Chiara non si sbilanciava; studiava e lavorava e solo per questo ero propenso ad inquadrarla come simpatizzante delle idee mie, ma in realtà poteva essere di tutt’altra parrocchia. In ogni caso con loro due non si erano mai fatti discorsi politici, ma solo cazzeggi vari.
Il titolo del libro era una vera e propria provocazione nei miei confronti: ‘Quel che non ha capito Carlo Marx‘ di Armando Plebe.
Conoscevo Plebe di fama. Un marxista rinnegato che nel ’68 abiurò le sue idee per passare nelle fila del M.S.I. Era quello che, per usare la terminologia cara alla sinistra extraparlamentare, si poteva definire un nemico del popolo.
Non avrei certo letto quel libro e mi dispiaceva che quelle due avessero buttato i loro soldi per arricchire uno stronzo solo per la voglia di prendermi un po’ in giro.
Aprii svogliatamente la copertina e sulla prima pagina bianca trovai la dedica scritta a due mani: ‘All’eremita della ditta con affetto Franca e Chiara‘ con due note tra parentesi sotto ognuno dei due nomi.
Sotto il nome di Franca c’era la scritta ‘(Perché tu no?)‘, mentre sotto l’altro nome c’era scritto ‘(Si è compromessa, vero?)‘.
Sfogliai senza convinzione alcune pagine.
‘Marx fu allievo perfetto nell’ereditare questa presunzione, così come nell’ereditare l’antipatia verso la natura‘
‘Dove sono i capitalisti padroni e despoti della società?‘
‘Sostanzialmente per il giovane Marx diventar uomo significava diventare gregario.’
Basta! Ne avevo già abbastanza della lettura del libro che chiusi sgarbatamente in un cassetto.
Mi alzai deciso, aprii la porta e a lunghe falcate mi diressi verso la postazione delle due “affettuose” amiche. Una volta giuntovi aspettai che entrambe mi guardassero ben bene e poi mostrai loro la lingua, girai i tacchi e me ne tornai in laboratorio, mentre dietro le mie spalle le sentii scoppiare in una risata.
“Dai, leggilo bene. Vedrai che ti piacerà” mi gridò dietro Franca.
Il resto della mattinata trascorse senza altre sorprese. Lavorai con lena e grande euforia in conseguenza della piacevole improvvisata che le due streghette mi avevano riservato.
Anche se il regalo non era stato di mio gusto alla fine lo accettai per ciò che era, un piccolo scherzo. In fin dei conti il vero regalo era stato organizzare quel minimo rinfresco, apposta per me.
Non misi più fuori il naso dal laboratorio fino a sera. Passai la pausa pranzo a sbocconcellare svogliatamente il panino, visto che le paste avevano lasciato il segno sul mio appetito, mentre curiosavo tra le pagine politiche del quotidiano.
Ero un lettore fedele de L’Unità che, prima di trovare lavoro a Roma, avevo anche distribuito su e giù per i vari piani dei condomini della mia zona.
Ricordai con piacere quella volta che mi ero trovato di fronte ad un uomo che non volle saperne assolutamente di acquistare il giornale e che, anzi, mi trattò parecchio male e con aggressività, sbattendomi poi la porta in faccia senza lasciarmi replicare. Rimasi per un po’ a fissare la porta chiusa, ferito nel mio amor proprio, poi stizzito decisi che il giornale glielo avrei comunque lasciato e glielo abbandonai sullo zerbino.
Quando fui tornato in sezione ed ebbi raccontato con orgoglio l’episodio non trovai un grande entusiasmo. Il giornale costava e non ci si poteva permettere di buttarlo via in quel modo. E poi non dovevamo imporre la nostra presenza agli altri: se uno voleva il giornale bene, altrimenti si passava oltre senza discussioni.
Perso nelle mie fantasie politiche ritirai fuori il libro dal cassetto. Sfogliai ancora qualche pagina: ‘… l’immagine che nei suoi scritti egli fornisce della società comunista è chiaramente quella di una società in cui, in odio alla cultura, l’improvvisazione e l’incompetenza sostituiscono la competenza.‘
Lasciai perdere e mi concentrai sulla dedica che era la cosa più seria di tutto il libro.
Le firme erano state scritte naturalmente da due mani diverse, ma il testo, con tanto di data, era sicuramente di Chiara e mostrava una grafia piuttosto allungata e morbida, mentre quella di Franca appariva più contratta e spigolosa. Notai che Franca, oltre alla propria firma aveva scritto anche la nota sotto il nome di Chiara: ‘(Si è compromessa, vero?)‘.
Ebbi un tuffo al cuore. La prima volta avevo letto le note nella stessa sequenza dei nomi, Franca e Chiara, e il tutto mi era apparso scherzoso, ma un po’ confuso. Adesso invece, isolata dal resto, quella frase brillava di luce propria e tornava a confermare le idee di cui volevo invece cominciare a dubitare.
Rimisi in fretta il libro nel cassetto. Non avevo nessuna di voglia di pensare a quella stramaledetta pizza. Non quel giorno almeno. Era la mia festa e non avevo nessuna intenzione di rovinarmela incaponendomi in inutili strategie velleitarie.
Alla fine dell’orario di lavoro sarei andato a fare un giro rilassante in via del Corso per farmi da me un regalo serio, e al diavolo le smancerie di Chiara e gli intrighi di Franca.
Mi buttai sul lavoro a testa bassa, anche per recuperare il ritardo accumulato nella mattina, e la rialzai solo quando ormai era sera.
Diedi un’occhiata all’orologio. Non avevo mai fatto così tardi e fortuna che era la mia festa.
Raccattai velocemente le mie cose, che buttai nella borsa, e mi fiondai lungo il corridoio, dopo un attimo di esitazione al pensiero di passare davanti alle segretarie. Le quali forse non avevano proprio apprezzato la mia scomparsa per tutto il resto del giorno, visto che si erano impegnate per farmi una cosa gradita.
Qualcosa mi sarei inventato.
Accolsi con sollievo il fatto che l’atrio fosse deserto. Era in effetti molto tardi ed erano praticamente già usciti tutti. Si sentiva solamente qualche voce isolata e attutita in una delle stanze dei dirigenti.
Prima di aprire il portone gettai un’occhiata verso la porta del gabinetto quasi col timore di veder riapparire Chiara.
Mi affrettai ad uscire e scesi le scale a due gradini alla volta fino all’ingresso, avviandomi poi frettolosamente verso Piazzale Flaminio.
Svoltato l’angolo del caseggiato con la via Flaminia mi arrestai di colpo. Davanti a me, distante pochi passi, c’era la sagoma inconfondibile di Chiara che con tranquillità si stava dirigendo verso le fermate dei bus.
Ed era sola.
Il suo passo era tipico e la faceva ancheggiare in un modo che evidenziava le sue gambette storte. Provai un attimo di tenerezza verso quelle gambette, poi mentalmente risalii fino al sedere e la immaginai di nuovo al gabinetto e tutto il resto.
Mi sentii avvampare. Non era esattamente il tipo di pensiero giusto per abbordare una ragazza per strada.
Poco coraggiosamente il mio primo istinto fu di cambiare direzione, attraversare la via Flaminia e poi dall’altro marciapiede andare direttamente alla stazione del trenino che mi avrebbe riportato a casa.
Però non lo feci. Questa era l’occasione che avevo cercato invano nei giorni precedenti, non potevo lasciarmela sfuggire.
Lei era lì, era la mia festa, eravamo in amicizia, la pizza ci poteva stare senza fraintendimenti.
Tirai un gran sospiro e mi decisi a raggiungerla cercando di scacciare i pensieri impudici.
Dopo pochi passi l’avevo affiancata.
“Signorina, la posso accompagnare per un tratto?” le dissi con tono affettato.
Lei si girò di scatto, sorpresa: “Ehi, ma ciao! Da dove sbuchi?”
Assunsi un’aria desolata: “Ho fatto un po’ tardi col lavoro. Sono rimasto indietro perché qualcuno mi induce in tentazione con delle orribili pastarelle.”
“Eh già, veramente orribili” convenne lei fingendo una faccia schifata “Praticamente mi hanno rovinato il pranzo. Ho lasciato tutto nel piatto”
Sorrisi con lei.
“Dove stai andando di bello?” le chiesi cercando di nascondere l’agitazione che si stava improvvisamente impossessando di me.
Lei alzò gli occhi al cielo come una martire: “E dove vuoi che vada? A casa. A studiare, come sempre.”
Sbuffò.
Ci fu un momento di silenzio imbarazzante. Con orrore mi resi conto che mi venivano a mancare le parole.
“Tu invece dove vai adesso?” mi soccorse lei.
“Mah. Avevo l’idea di fare una passeggiata lungo via del Corso prima di tornare a casa anch’io. Più avanti c’è un negozio di musica e pensavo di acquistare un po’ di spartiti per la chitarra”
La mia mano libera (l’altra teneva la borsa) gesticolava con un po’ troppa enfasi e mi imposi di tenerla in tasca.
“È vero che tu suoni la chitarra!” si ricordò lei radiosa.
“La suonicchio.” convenni.
“Un giorno mi fai sentire qualcosa?”
“Non ti conviene, dammi retta.” risposi ridendo, dandomi mentalmente dello stronzo. Perché non questa sera?
“Ti è piaciuto il nostro regalo?” chiese con uno sguardo beffardo di sottecchi.
“Lasciamo stare” replicai fingendo di essere arrabbiato.
Lei mi mostrò il suo bel sorriso.
“Ieri sera ci siamo andate noi in via del Corso. Ce semo fatte non so quante librerie per trovare il tuo regalo.”
Non riuscii a replicare con una battuta efficace per ironizzare su quella ricerca.
Nel frattempo eravamo arrivati alla piazzola di sosta, dove ci fermammo.
Di nuovo calò il silenzio. Forza, mi dicevo, chiediglielo. È fatta, basta aprire la bocca. ‘Perché non ci andiamo a mangiare una pizza stasera? In fondo è ancora la mia festa. Studierai domani.‘
Niente. Le parole non volevano uscire e cominciai a sentire un leggero tremore alle gambe e compresi che ero ormai nel panico.
“Beh, io devo aspettare qui il mio numero. Allora buona passeggiata.”
Lo disse con tono gaio, ma il suo sguardo era assente.
Annuii con la testa e borbottai un grazie.
Dopo un attimo di esitazione mossi il primo passo per attraversare il piazzale e andare in Piazza del Popolo.
“Ciao.”
“Ci vediamo domani.”
Mentre attraversavo faticosamente Piazzale Flaminio, cercando di schivare le macchine, mi davo mentalmente del cretino. Sentivo i suoi occhi azzurri penetrarmi la nuca, ma forse no. Lei in fondo non si aspettava realmente niente da me di diverso dal solito. Non si aspettava che una piccola nota di Franca mi illuminasse all’improvviso e certo non sapeva che io avevo capito tutto da tempo.
Arrivato alla porta di accesso alla piazza del Popolo un pensiero mi fulminò: Quel che non ha capito Carlo Marx!
Io ero Carlo Marx. Il comunista. Io ero colui che non aveva capito.
Mi girai a guardare il Piazzale, ma l’area di sosta dove l’avevo lasciata era ormai vuota. Il suo bus era probabilmente quello che in quel momento stava accelerando in direzione del Lungotevere sbuffando una polvere grigia dal tubo di scappamento.
Deve essere stata una deviazione professionale quella del tuo protagonista, maneggiare tutti quei liquidi !! Ha scambiato Chiara per una delle sue fialette e se ne è innamorato:Ciao
In questo blog non si accettano battutacce, ma solo critiche costruttive 😉
dammi il tempo per costruirle!!
non lo so…ci vedo sempre quel Bruno lì…(quello del Cancro 🙂 ) Lui ha delle idee geniali e poi si intimorisce a buttarsi dentro e quindi resta sempre un po’ affacciato alla finestra…un piede dentro l altro fuori. Il capuzzino che sul più bello si ritira.
Quindi ci sono dei passaggi molto spiritosi e originali …vedi il “gabinetto” …o la guerra alle formiche o il disordine giustificato in modo troppo simpatico e appena ti aspetti che sale in un vortice di trasgressione, che so, di pazzia collettiva o semplicemente mi aspetto che metti la 5…ecco che si ritorna in retro… Aspetto sempre di salire sulla giostra e allora sto qui con il biglietto pronto in mano!!
kyz
Cosa posso dire? Che ci sei cascata con tutte le scarpe? 🙂
Ma come?! Io ho seguito pedissequamente ciò che la trama prevede (rileggere please) e tu invece dici che è così perché è del cancro! 😮
La festicciola di compleanno non era prevista, ma, al momento di inserirla, mi sono chiesto: “Chissà se Martina ci farà l’oroscopo?”.
Detto e fatto, ma… il segno è sbagliato 😮
Riprova, ma con il segno giusto questa volta 🙂
ahahhahaahah inconsciamente mi hai fatto un complimento. Eppure devi sapere che io nn ho la fissa per l oroscopo e le mie amiche lo potrebbero confermare. Il punto che ho conosciuto parecchie persone del Cancro nonché la mia amica di sempre ( la Roby o la Stony…) e hanno tutte le stesse caratteristiche…quasi prevedibili…anche quelle che all’ inizio le nascondono bene.
La festicciola è tra le cose più originali e la frase :“Non è vero” protestai ridendo “Adesso trovate un po’ di disordine solo perché l’ultima baldoria è finita da poco.” è tra le più originali (sei tu…con la tua ironia e la tua classe)
Buttati di più…con te stesso, la tua ironia, i tuoi personaggi e non tentennare più!
Sì era la volta buona della chitarra o della pizza e avresti dato una svolta alla giornata e alla sua routine….anche se hai chiacchierato fuori dall’ufficio e non eri neppure in mensa!!
Ah, ho capito. Tu sei una astrologa specializzata in cancrologia 😀
In ogni caso il mio commento non voleva essere un complimento, ma una sfida. Non verso l’astrologa (di cui, per dirla con Chiara, nun ce ne po’ fregà de meno – questa frase gliela metterò in bocca prima o poi), ma verso la lettrice: qual’è la data di compleanno del protagonista? 🙂
In quanto all’appunto finale (che anch’io avevo già previsto, non perché sei di un segno particolare, ma perché tu sei Martina) mi pare ormai chiaro che l’ambientazione (ah, la famigerata ambientazione) non è l’ufficio, ma è Piazzale Flaminio. Non essendoci una mensa, prevedo per la giornata successiva anche una scena in trattoria. Solo l’ultimo giorno metterò la quinta, anzi per essere pignoli (da bravo cancro) metterò la settima. 😀
si ma se l ambientazione è piazza Flaminio allora non puoi parlare in ufficio !! 😛 prrrrrrrrrrrrrr e cmq partendo per ultimo hai raggirato l ostacolo !!!
Io sono partito per primo, prego. Almeno quello… 😦
Toro.
Non voglio il segno (che comunque è sbagliato 😛 ), ma la data del compleanno (non quella di nascita perché non ci sono sufficienti informazioni).
Potrebbe essere il 30 aprile….
Ho scritto nel post sbagliato… O giusto? 🙂
Cmq mercoledì 29 aprile 1970
Sbagliato! La data intendo. 😉
Eppure sono numeri che ti dovrebbero mandare in brodo di giuggiole 😀
Vabbé te lo dico io: mercoledi 22 aprile (quindi mi correggo, il segno è giusto… machissenefrega 😛 ); l’Apollo 13 è ammarato di venerdi 17! 😮
E infatti quando ho scritto toro ho calcolato dal 17 al 22. Poi ho controllato e mi dava il primo giorno del toro. Quindi ho scritto Toro…Quando hai detto no ho pensato che fosse il giorno del rientro e altre date davano il 27 così sono andata avanti . Certo che la data mi dice qualcosa :@!! E cmq sono partita da li’….
del tuo racconto mi piace; il titolo, il regalo che Chiara ha scelto per Bruno per dirgli che non aveva capito, Anch’io avevo in mente nel mio racconto di far capire attraverso un libro ciò che il protagonista doveva capire. Il mio errore è stato quello di non aver letto il libro ma, mi sono accontentata di una semplice recensione. Quello che non mi piace: è il voler dimostrare al lettore che chi scrive è maschio, nonostante la timidezza. A mio figlio, osservandolo con amici mentre beveva la birra, chiesi:” ma perchè la bevi se non ti piace ” La sua risposta fù.”per dimostrare che sono uomo ” Questo racconto mi ha dato la stessa risposta .Sono stata costruttiva?Ciao
Mi pare che hai colto, almeno in parte, lo spirito del racconto. L’unica cosa che mi lascia un po’ perplesso è che ho l’impressione che tu e Martina fatichiate a scindere l’autore dal protagonista. Come autore non voglio dimostrare niente, ma solo descrivere un personaggio che è maschio e quindi non saprei in che altro modo descriverlo. Puoi dirmi quali sono i passaggi che ti danno questa impressione?
Come protagonista può valere parzialmente la risposta di tuo figlio con la differenza che il Bruno del racconto non vuole dimostrare di essere maschio, anzi preferirebbe evitarlo, ma sono gli avvenimenti che lo trascinano in quella direzione suo malgrado. Sarà poi lui a decidere alla fine se sarà maschio o se sarà uomo.
Caro Bruno lo sò che come autore non vuoi dimostrare nulla e non ti confondo certo con il tuo personaggio che mi è simpatico. Ma il Bruno autore è uomo ma anche maschio e fà ragionare il suo personaggio come maschio. Ti faccio un esempio a me,come donna autore, non sarebbe mai venuto in mente di creare al lettore questa sensazione fisica che,bruno protagonista,prova. Il pensiero di Chiara in bagno,che stimola la sua sessualità , infastidirebbe qualsiasi donna sia lettrice che protagonista. Solo un maschio lo potrebbe capire, oppure, chi conosce bene i maschi Capisco che tu autore, vuoi dare questa sensazione al lettore, per dimostrare il significato di chi è un maschio e chi è un uomo, ma io come donna, avrei cercato un’altra via di uscita.Ciaooooooooo!!!!
Capisco il tuo punto di vista, però sei fuori strada. Qui non c’entra niente essere maschi o femmine (so che le donne possono essere in certi argomenti più crude degli uomini), e non c’entra neppure niente la sessualità di Chiara (non direttamente almeno). Io ho descritto la presa di coscienza del protagonista nei riguardi di Chiara come essere umano attraverso un meccanismo assolutamente naturale e comune ai due sessi. Chiara non è una figurina asessuata o angelica come era fino a quel momento (e come certa letteratura ci ha trasmesso), ma una persona in carne ed ossa con le sue esigenze fisiologiche che la natura (non il maschio) ha messo assieme a quelle sessuali. Il protagonista in un colpo solo prende atto sia della fisicità dell’altra che della sua sessualità. Avrei certo potuto descrivere questi due momenti separatamente, ma avrei appesantito molto la narrazione, mentre in questo modo ho preso i classici due piccioni con una fava 🙂
In quanto al fastidio che le lettrici proverebbero nel seguire questo approccio non posso certo mettere becco, constato solo che il 50% delle mie due lettrici la pensa come te e ricordo quanto ci disse a scuola un sacerdote, che ci insegnava educazione sessuale al posto di religione in una classe maschile: ‘Quando vi appartate a parlare tra di voi di ragazze e usate termini rozzi e volgari, sappiate che dall’altra parte le ragazze fanno la stessa cosa nei vostri confronti con termini anche più spinti che vi farebbero arrossire’. 😀
Speravo di aver capito male il primo commento di Gabry e gia’ ieri volevo metterci un nel punto interrogativo…. Ora ci penso bene …ma so che non concordo assolutamente con Gabry . Sarebbe come spezzare le gambe a un autore… Maschio o femmina… Uomo o donna
Non voglio spezzare le gambe a nessuno qualsiasi autore, donna o uomo, può scrivere ciò che vuole ma, non è detto che io lettore ne condivida il contenuto.
no coment!! lascio all’altro 50% il commento. rimango però sulla mia posizione ciao
Caro Bruno
ricapitolando…
hai colto poco le critiche positive dei miei commenti concentrandoti solo sul segno zodiacale.
Inoltre il complimento inconscio di cui parlavo è dato dalla tua frase:”al momento di inserirla, mi sono chiesto: “Chissà se Martina ci farà l’oroscopo?”
perché hai pensato che Martina comunque avrebbe letto e molto attentamente.
Riesco a scindere benissimo te dal personaggio solo forse non riesco a scinderlo dal segno del “Cancro” per i motivi sopraelencati.
Ciò che forse non sono riuscita a trasmettere è proprio il concetto contrario rispetto a Gabri.
Cioè io ti vedo lasciarti andare e sul più bello ritrarti. E quel che lasci intravedere è quella parte ironica che penso faccia parte del tuo porti, come una seconda pelle alla quale ci hai abituati e che ci riporta sempre da te.
Non vedo visione Maschile ma Umana.
Le donne non penso si infastidiscano sui pensieri maschili anche perché alcune sprecano gran parte delle loro energie proprio per farsi notare… E l’attrazione è la nascita della creazione.
Hai relegato un po’ tutte le mie critiche in una direzione ma sei troppo intelligente per non averne colto il succo.
Anche io nei mie capitoli ci ho messo l’ attrazione, forse troppo sottile, per questo mi sono detestata, perché alla fine non ero completamente sincera con me stessa.Un vero scrittore deve buttare tutta la sua anima anche se ciò può significare a volte “vomitare” e anche se ad alcuni potrebbe dar fastidio ci saranno lettori più disponibili che ne trarranno il giusto verso.
L’uomo ha per certi versi l’istinto animale , quindi un uomo adulto che abbia più di 16anni non potrà mai basare l’attenzione soltanto su due occhioni blu…anche se bellissimi.
E soprattutto quando un artista dipinge il suo quadro non può stare a pensare come lo vedranno gli altri ma solo ad esprimere completamente le sue emozioni.
Naturalmente Gabri, nessuno vuole farti cambiare posizione.
Non confondere quello che è stato un piccolo gioco (che tu hai cominciato) col succo delle mie repliche al tuo commento e, per favore – a proposito di giochi, non usare con me il giochetto del ‘sei troppo intelligente per…’
Anche tu sei troppo intelligente per… non aver capito il mio punto di vista e anche credere agli oroscopi 😉
Ribadisco quanto già detto: tendete a confondere entrambe l’autore col protagonista.
Quando tu scrivi: ‘ti vedo lasciarti andare e sul più bello ritrarti. E quel che lasci intravedere è quella parte ironica che penso faccia parte del tuo porti, come una seconda pelle alla quale ci hai abituati e che ci riporta sempre da te‘ stai parlando dell’autore evidentemente, ma sembra che tu gli chieda conto di azioni fatte dal protagonista. Forse non mi accrediti sufficiente intelligenza da pensare che io VOGLIA che il protagonista si comporti in quel modo? Non ho scritto in quel modo perché non sapevo dove andare a parare o perché sono del Cancro, ma l’ho fatto perché ritengo ciò funzionale al racconto. Ti potrà piacere o meno la scelta, ma non c’entra niente la personalità di chi scrive, altrimenti, se fosse un horror, dovrei sempre stare a chiedermi: ‘c’è abbastanza dell’ironia che mi caratterizza?‘.
Gabry fa un errore analogo quando non accetta che il protagonista (che le sta simpatico) abbia certi pensieri e perciò li scarica sull’autore accusandolo di voler dimostrare che è maschio (l’autore, non il protagonista).
Naturalmente tutto ciò è indipendente dalla qualità del racconto che ho scritto, ma so che quando si discute del contenuto significa che il contenitore è buono 😀
Buona domenica a tutte e due 🙂
secondo me un artista,sia pittore che autore, tiene molto in considerazione gli altri . La sua abilità stà nel raccontarsi in silenzio senza disturbare,Già nella vita ci sono volgarità e spesso si è costretti a subire. Lasciamo che chi vuole leggere,sia quadro,che libbro, sappia da solo tirarne le conclusioni. D’altronde Bruno il protagonista del racconto, ed è la cosa che mi è piaciuta di più, attraverso un regalo che non aveva compreso, è arrivato a leggere il messaggio ciao buona domenica a tutti
Un vero artista DEVE disturbare gli altri.
Ecco il capuzzino che si ritrae!! Grann moderatore 🙂 (k)
Se solo sapessi cos’è un capuzzino 😦
Mi viene in mente solo una cosa un po’ oscena 😳
Picasso disturbò i nazisti con Guenica e chi gli chiese chi avesse dipinto quell’orrore lui rispose:” l’avete fatto voi ” questo è stato un disturbo geniale senza volgarità con intelligenza dettata dalla rabbia verso l’ingiustizia Il disturbo creato in questo significato è valido anzi è ammirevole Io per disturbo intendo scavare nell’intimità altrui, non tutti sono disposti ad essere osservati ciao
Allora mi correggo: Un vero artista DEVE disturbare gli altri. SEMPRE!
😉
già tu sei quello che uccidi le formiche
inutile…non sono in grado di spiegarmi e quindi cercherò di evitare. cmq…lo so che VUOI che il personaggio si comporti così…quel che penso non conta….l importante è che tu lo ritenga funzionale.
sono io quella a cui viene in mente il prossimo capito solo nel momento in cui inizia a scriverlo…
Vedi, adesso ti sei spiegata 🙂
Strano errore da parte tua pensare che un Cancro avesse il tuo stesso atteggiamento nello scrivere 😉
Da ciò che mi racconti avrei dovuto essere pignolo e pianificatore prima di mettermi a scrivere… e così è! Quando ho cominciato avevo (e ho) in testa tutta la storia dall’inizio alla fine, e sapevo (e so) esattamente cosa sarebbe successo giorno per giorno. So già infatti cosa succederà giovedi e venerdi.
Per giovedi ho da risolvere una certa incongruenza e bisogna che mi faccia venire un’idea, per venerdi invece ho in testa due finali molto diversi tra loro. Sono come due finali in un giro armonico di Do, meglio finire in maggiore o in settima?
No che non mi so spiegare…perché ho detto esattamente questo… Che non ho pensato ne che tu avessi il mio stesso atteggiamento e che SO che SAI gia’ dove Vuoi arrivare … Quindi niente analisi fino alla fine poi esprimerò se mi piace o no 😀
Mamma mia! che dibattito!
complimenti, davvero, perchè non è facile suscitare tanta partecipazione. a me infatti non è mai successo :-). Per il momento sono un po’ spiazzata, rileggo e poi dico la mia
Ma quale dibattito? Siamo qui solo a mettere i puntini sulle u 😀
il problema è che Bruno ha pubblicato una foto porno come locandina!! 🙂
?
si si… 🙂 non fare il finto tonto!!
io mi chiedo ancora come devo scrivere questo romanzo….e cmq devo rileggere prima di esprimermi.!!!! bravo all’autore per l’infaticabile puntiglio !
Oh, beh… ci sono diversi sistemi: il computer, una vecchia olivetti, il classico carta e penna… 😉
carta e penna…..
Borderline… 😛 E sto aspettando di vedere come se ne esce quel Bruno li…
Gli ultimi avvenimenti capitatimi non mi permettono ancora uno stato d’animo rilassato per continuare 😦