Quella mattina lo scuotimento del treno che mi portava a Piazzale Flaminio cercava in tutti i modi di infierire sulla mia mente obnubilata da una notte passata insonne.
Avevo comprato il giornale poco prima di partire, perché attratto dal titolo principale in cui veniva citata Ravenna, e questo aveva tenuta desta la mia attenzione per un po’. Sentivo la lontananza dalla mia città e quelle poche volte che, in giro per l’Italia, avevo modo di vederla citata il cuore mi si riempiva di orgoglio e malinconia. Comprai quindi subito il giornale, invece di aspettare mezzogiorno come al solito, e mi buttai immediatamente nella lettura dell’articolo.
In realtà la parte principale riguardava le elezioni in Sicilia e di come il partito avesse fatto fronte ad un tentativo di rinvio pianificato dalla DC. Solo nella seconda parte, sempre in tema di elezioni, si parlava della situazione di Ravenna dove il sindaco si era dimesso.
In altri momenti mi sarei letto e riletto più volte l’articolo per assaporare fino all’ultima virgola il sapore della mia città lontana. Quel giorno invece faticai molto a terminarlo.
Dopo un primo momento di eccitazione la stanchezza cominciò a farsi sentire. Le palpebre mi cadevano pesanti e le lettere del testo si confondevano in segni senza senso. Ero costretto a rileggere più volte la stessa riga per poter afferrare i concetti espressi. Alla fine mi arresi e rinunciai alla lettura.
Avevo comprato il giornale poco prima di partire, perché attratto dal titolo principale in cui veniva citata Ravenna, e questo aveva tenuta desta la mia attenzione per un po’. Sentivo la lontananza dalla mia città e quelle poche volte che, in giro per l’Italia, avevo modo di vederla citata il cuore mi si riempiva di orgoglio e malinconia. Comprai quindi subito il giornale, invece di aspettare mezzogiorno come al solito, e mi buttai immediatamente nella lettura dell’articolo.
In realtà la parte principale riguardava le elezioni in Sicilia e di come il partito avesse fatto fronte ad un tentativo di rinvio pianificato dalla DC. Solo nella seconda parte, sempre in tema di elezioni, si parlava della situazione di Ravenna dove il sindaco si era dimesso.
In altri momenti mi sarei letto e riletto più volte l’articolo per assaporare fino all’ultima virgola il sapore della mia città lontana. Quel giorno invece faticai molto a terminarlo.
Dopo un primo momento di eccitazione la stanchezza cominciò a farsi sentire. Le palpebre mi cadevano pesanti e le lettere del testo si confondevano in segni senza senso. Ero costretto a rileggere più volte la stessa riga per poter afferrare i concetti espressi. Alla fine mi arresi e rinunciai alla lettura.
La sera prima ero rientrato tardi e mi ero buttato subito sul letto, addormentandomi all’istante. Ad un certo momento però mi ero svegliato completamente vigile ed insonne.
Avevo acceso la luce e con mio rammarico la sveglia mi aveva indicato chiaramente che avevo dormito si e no un’ora.
Inutili i tentativi successivi di riaddormentarmi. I pensieri arrivavano e si sovrapponevano gli uni sugli altri, come le onde sulla spiaggia. Alla fine era rimasto un unico mare di pensieri sparsi che non mi avrebbe fatto più riprendere sonno.
Nel dormiveglia mi rendevo conto che fino a quel momento avevo solo giocato con le mie supposizioni.
Piacevo a Chiara, però forse interpretavo male.
Gli amici mi spingevano verso di lei, ma forse non era così.
Franca mi stuzzicava per buttarmi tra le sue braccia, ma forse Franca voleva solo prendermi in giro.
Però ora c’era quel libro. Il titolo significava chiaramente che chi vuol capire capisca, e, se non capisce ancora, ci aggiungiamo anche una dichiarazione di “affetto” piuttosto esplicita.
E a questo punto cosa dovevo fare io?
Non potevo più tirarmi indietro. Ora tutti si aspettavano da me una mossa concreta. Se non l’avessi fatta sarei rimasto marchiato a vita come un inetto, imbelle e insignificante ragazzotto. In un ambiente piccolo come la nostra azienda non avrei saputo resistere a lungo in tale stato.
Non era però questo che mi faceva montare lo sconforto, era piuttosto la consapevolezza che quei giudizi in fondo erano la verità.
Così infatti mi sentivo.
Avevo acceso la luce e con mio rammarico la sveglia mi aveva indicato chiaramente che avevo dormito si e no un’ora.
Inutili i tentativi successivi di riaddormentarmi. I pensieri arrivavano e si sovrapponevano gli uni sugli altri, come le onde sulla spiaggia. Alla fine era rimasto un unico mare di pensieri sparsi che non mi avrebbe fatto più riprendere sonno.
Nel dormiveglia mi rendevo conto che fino a quel momento avevo solo giocato con le mie supposizioni.
Piacevo a Chiara, però forse interpretavo male.
Gli amici mi spingevano verso di lei, ma forse non era così.
Franca mi stuzzicava per buttarmi tra le sue braccia, ma forse Franca voleva solo prendermi in giro.
Però ora c’era quel libro. Il titolo significava chiaramente che chi vuol capire capisca, e, se non capisce ancora, ci aggiungiamo anche una dichiarazione di “affetto” piuttosto esplicita.
E a questo punto cosa dovevo fare io?
Non potevo più tirarmi indietro. Ora tutti si aspettavano da me una mossa concreta. Se non l’avessi fatta sarei rimasto marchiato a vita come un inetto, imbelle e insignificante ragazzotto. In un ambiente piccolo come la nostra azienda non avrei saputo resistere a lungo in tale stato.
Non era però questo che mi faceva montare lo sconforto, era piuttosto la consapevolezza che quei giudizi in fondo erano la verità.
Così infatti mi sentivo.
Il giornale mi scivolò dalle mani ed ebbi un guizzo improvviso per riafferrarlo. Vicino a me nello scompartimento sedevano due ragazze, certamente due studentesse, che si girarono al mio brusco movimento e mi sorrisero. Risposi con una leggera smorfia, mentre loro tornavano a parlottare dei propri affari.
Una delle due era molto graziosa, con belle mani dalle dita affusolate tra cui bruciava indolente una sigaretta.
Provai a tornare a leggere il giornale.
La Roma era stata sconfitta in Polonia dalla monetina. C’era di che prendere per i fondelli mezzo ufficio quella mattina, ma non era aria per me. Ero ormai l’ultimo che si potesse permettere di sfottere chiunque altro.
Le due ragazze ridacchiarono attirando la mia attenzione. Potei così cogliere per un istante lo sguardo della più carina su di me. Lo tolse immediatamente, riportandolo sull’amica, mentre si accucciavano tra loro a ridere sommessamente.
Aveva una minigonna che esaltava le sue gambe tornite e l’insieme era davvero un bel vedere, al contrario dell’amica che era invece piuttosto insignificante. Era la ragazza adatta a me insomma. Se solo fossi stato più vigile.
Riportai la mia attenzione al giornale sfogliandolo platealmente per superare il momento di imbarazzo che si era creato.
“Scusa!”
Dovette ripetere prima che io mi rendessi conto che si stava rivolgendo a me.
“Scusa, non stavamo ridendo di te. È che la mia amica è un po’ stupida.” disse quella carina, mentre l’altra, ancora ridendo, le dava una botta sull’avambraccio.
“Vedi? Non ci sta tutta con la testa.” aggiunse, ridendo lei a sua volta e rispondendo con ripetute smanacciate della mano libera verso l’amica, mentre teneva in alto quella con la sigaretta.
“Non preoccupatevi.” risposi, ridendo a mia volta. “Sono talmente rintronato dal sonno che potete fare o dire di me quello che vi pare”.
“Allora ne approfittiamo!” disse l’altra gioiosa.
“Dai piantala! Lasciamolo stare.” replicò la prima ragazza elargendomi un piacevole sorriso.
“Scusa di nuovo.” aggiunse.
“Scusa!” la scimmiottò l’amica.
Feci cenno con la mano che era tutto a posto e loro tornarono a confabulare, chine una sull’altra.
Cercai di darmi un contegno immergendomi nuovamente nella lettura del giornale, ma la mia mente si ostinava a non partecipare. Captavo i loro discorsi, e le parole dette si mescolavano a quelle che cercavo di leggere. Finché gli occhi, appesantiti dal sonno, si rifiutarono di fare oltre il loro lavoro. Rimasero le orecchie a tenermi in contatto con l’ambiente.
“… no, davvero, questa storia non la capisco.”
“Cosa vuoi capire? È così…”
“E tu telefonagli!”
“L’ho fatto, l’ho fatto. Mi risponde sempre sua madre: non c’è!, è appena uscito!, sta ancora dormendo… Fanculo.”
“È scemo, però, se fa così.”
“Non so più cosa pensare…”
“Non ti merita, credimi.”
“E sai che soddisfazione. Devo inventarmi qualcosa invece…”
“Perché non gli scrivi una lettera? Senza mittente! Così sarà costretto a leggerla.”
“Una lettera?”
Una delle due era molto graziosa, con belle mani dalle dita affusolate tra cui bruciava indolente una sigaretta.
Provai a tornare a leggere il giornale.
La Roma era stata sconfitta in Polonia dalla monetina. C’era di che prendere per i fondelli mezzo ufficio quella mattina, ma non era aria per me. Ero ormai l’ultimo che si potesse permettere di sfottere chiunque altro.
Le due ragazze ridacchiarono attirando la mia attenzione. Potei così cogliere per un istante lo sguardo della più carina su di me. Lo tolse immediatamente, riportandolo sull’amica, mentre si accucciavano tra loro a ridere sommessamente.
Aveva una minigonna che esaltava le sue gambe tornite e l’insieme era davvero un bel vedere, al contrario dell’amica che era invece piuttosto insignificante. Era la ragazza adatta a me insomma. Se solo fossi stato più vigile.
Riportai la mia attenzione al giornale sfogliandolo platealmente per superare il momento di imbarazzo che si era creato.
“Scusa!”
Dovette ripetere prima che io mi rendessi conto che si stava rivolgendo a me.
“Scusa, non stavamo ridendo di te. È che la mia amica è un po’ stupida.” disse quella carina, mentre l’altra, ancora ridendo, le dava una botta sull’avambraccio.
“Vedi? Non ci sta tutta con la testa.” aggiunse, ridendo lei a sua volta e rispondendo con ripetute smanacciate della mano libera verso l’amica, mentre teneva in alto quella con la sigaretta.
“Non preoccupatevi.” risposi, ridendo a mia volta. “Sono talmente rintronato dal sonno che potete fare o dire di me quello che vi pare”.
“Allora ne approfittiamo!” disse l’altra gioiosa.
“Dai piantala! Lasciamolo stare.” replicò la prima ragazza elargendomi un piacevole sorriso.
“Scusa di nuovo.” aggiunse.
“Scusa!” la scimmiottò l’amica.
Feci cenno con la mano che era tutto a posto e loro tornarono a confabulare, chine una sull’altra.
Cercai di darmi un contegno immergendomi nuovamente nella lettura del giornale, ma la mia mente si ostinava a non partecipare. Captavo i loro discorsi, e le parole dette si mescolavano a quelle che cercavo di leggere. Finché gli occhi, appesantiti dal sonno, si rifiutarono di fare oltre il loro lavoro. Rimasero le orecchie a tenermi in contatto con l’ambiente.
“… no, davvero, questa storia non la capisco.”
“Cosa vuoi capire? È così…”
“E tu telefonagli!”
“L’ho fatto, l’ho fatto. Mi risponde sempre sua madre: non c’è!, è appena uscito!, sta ancora dormendo… Fanculo.”
“È scemo, però, se fa così.”
“Non so più cosa pensare…”
“Non ti merita, credimi.”
“E sai che soddisfazione. Devo inventarmi qualcosa invece…”
“Perché non gli scrivi una lettera? Senza mittente! Così sarà costretto a leggerla.”
“Una lettera?”
Una lettera!! Di colpo la sonnolenza svanì. Questa era un’idea!
Sapevo che non ce l’avrei mai fatta a chiedere a Chiara un appuntamento a voce. Mi agitavo troppo, mi richiudevo e non trovavo le parole… ma una lettera…
Lì le parole le avrei trovate di sicuro. Con tutta calma avrei potuto invitarla, fare lo spiritoso, ricoprirmi anche di ridicolo. La carta sarebbe stata come un vetro frapposto tra noi, dietro al quale mi sentivo più libero di improvvisare.
La mia fantasia cominciò subito a lavorare: avrei scritto una lettera formale, tipo ufficio che so, magari con preghiera di risposta urgente. Un testo formale e spiritoso allo stesso tempo. La lettera stessa in fondo sarebbe stata un modo originale per un invito in pizzeria.
Capivo in quel momento che la mia paura reale era solo quella di un rifiuto da parte di lei. Fino a quel momento mi era venuta a mancare l’idea vincente, una idea a cui non potesse dire di no; ora invece ce l’avevo.
Certo avrebbe potuto dire di no anche ad una lettera, ma, per come la stavo immaginando, sarebbe stato solo una specie di gioco e se avesse detto di no, pazienza. Era una cosa molto meno impegnativa e, in un gioco, non si può sempre vincere. E poi, per dirla tutta, la possibilità di perdere era quella a cui più ambivo. L’importante era che non sembrasse una cosa troppo seria. Anzi, le avrei chiesto di rispondere in modo altrettanto formale, per vedere cosa si sarebbe inventata.
Sapevo che non ce l’avrei mai fatta a chiedere a Chiara un appuntamento a voce. Mi agitavo troppo, mi richiudevo e non trovavo le parole… ma una lettera…
Lì le parole le avrei trovate di sicuro. Con tutta calma avrei potuto invitarla, fare lo spiritoso, ricoprirmi anche di ridicolo. La carta sarebbe stata come un vetro frapposto tra noi, dietro al quale mi sentivo più libero di improvvisare.
La mia fantasia cominciò subito a lavorare: avrei scritto una lettera formale, tipo ufficio che so, magari con preghiera di risposta urgente. Un testo formale e spiritoso allo stesso tempo. La lettera stessa in fondo sarebbe stata un modo originale per un invito in pizzeria.
Capivo in quel momento che la mia paura reale era solo quella di un rifiuto da parte di lei. Fino a quel momento mi era venuta a mancare l’idea vincente, una idea a cui non potesse dire di no; ora invece ce l’avevo.
Certo avrebbe potuto dire di no anche ad una lettera, ma, per come la stavo immaginando, sarebbe stato solo una specie di gioco e se avesse detto di no, pazienza. Era una cosa molto meno impegnativa e, in un gioco, non si può sempre vincere. E poi, per dirla tutta, la possibilità di perdere era quella a cui più ambivo. L’importante era che non sembrasse una cosa troppo seria. Anzi, le avrei chiesto di rispondere in modo altrettanto formale, per vedere cosa si sarebbe inventata.
Piegai con affettazione il giornale e mi alzai impaziente dal mio posto per prepararmi all’uscita, anche se ancora non eravamo arrivati in stazione. Le due ragazze sollevarono il viso a guardarmi.
Facendo con l’indice un gesto in aria dissi con solennità: “L’idea della lettera è certamente buona.”. Poi mi girai e mi incamminai lungo il corridoio lasciandole a bocca aperta. Quella carina la segnai in un angolo della mia mente: se faceva quella tratta di routine, contavo di rivederla prima o poi.
Facendo con l’indice un gesto in aria dissi con solennità: “L’idea della lettera è certamente buona.”. Poi mi girai e mi incamminai lungo il corridoio lasciandole a bocca aperta. Quella carina la segnai in un angolo della mia mente: se faceva quella tratta di routine, contavo di rivederla prima o poi.
La mattinata era partita male, ma ora mi sentivo già ringalluzzito mentre salivo col mio solito passo le scale che portavano all’ufficio. Avevo un lavoro da fare ben preciso.
Spinsi con decisione la porta di ingresso e mi ritrovai avvolto da una confusione assurda.
L’atrio era pieno di gente come non mai. Praticamente tutti i dirigenti erano fuori dai loro uffici assieme al grande capo e facevano capannello attorno a due personaggi piuttosto bizzarri, accompagnati a loro volta, a quanto sembrava, da serissimi funzionari di qualche ente in giacca e cravatta di ordinanza.
Probabilmente una commissione che era venuta a vedere i nostri lavori o qualche nuovo cliente.
La cosa strana che mi colpì fu che tutti sembravano pendere dalle labbra di quei due tipi.
Piuttosto trasandati, coi loro jeans stinti e camicie fuori dai pantaloni, facevano un netto contrasto con la seriosa eleganza di tutti gli altri. Me escluso naturalmente, visto che anch’io indossavo i jeans. Però i miei non erano stinti e tenevo la camicia dentro.
Entrambi piccoli di statura, portavano lunghi capelli fluenti alle spalle e forse non pulitissimi. Uno, il più giovane, aveva un paio di baffi alla Ho Chi Min e un grosso sigaro in bocca, mentre l’altro si limitava a portare un pizzetto da capra, già ingrigito dall’età, e indossava occhialini tondi da rivoluzionario anni ’20.
Era strano vedere una scena del genere. Di solito era il grande capo a concionare e gli altri a prestare attenzione. Qui c’erano praticamente due barboni che discutevano alla pari coi nostri altezzosi dirigenti. Facendo per di più una gran caciara. Roba mai vista.
Mi infiltrai per passare e quando fui davanti a Franca feci un muto cenno interrogativo. Lei mi rispose muovendo silenziosamente le labbra: “Sono due consulenti nuovi”.
Feci segno di aver capito e scivolai lungo la scrivania di Chiara per infilare il corridoio. Lei non era al suo posto, ma stava rovistando nell’armadietto vicino alla finestra girandomi le spalle. Notai che quel giorno anche lei indossava i jeans e non potei non notare che aveva un culetto niente male.
Una fragorosa risata collettiva riempì l’ingresso, mentre il pizzetto caprino agitava in aria le mani; probabilmente stava narrando qualche buffo aneddoto.
Spinsi con decisione la porta di ingresso e mi ritrovai avvolto da una confusione assurda.
L’atrio era pieno di gente come non mai. Praticamente tutti i dirigenti erano fuori dai loro uffici assieme al grande capo e facevano capannello attorno a due personaggi piuttosto bizzarri, accompagnati a loro volta, a quanto sembrava, da serissimi funzionari di qualche ente in giacca e cravatta di ordinanza.
Probabilmente una commissione che era venuta a vedere i nostri lavori o qualche nuovo cliente.
La cosa strana che mi colpì fu che tutti sembravano pendere dalle labbra di quei due tipi.
Piuttosto trasandati, coi loro jeans stinti e camicie fuori dai pantaloni, facevano un netto contrasto con la seriosa eleganza di tutti gli altri. Me escluso naturalmente, visto che anch’io indossavo i jeans. Però i miei non erano stinti e tenevo la camicia dentro.
Entrambi piccoli di statura, portavano lunghi capelli fluenti alle spalle e forse non pulitissimi. Uno, il più giovane, aveva un paio di baffi alla Ho Chi Min e un grosso sigaro in bocca, mentre l’altro si limitava a portare un pizzetto da capra, già ingrigito dall’età, e indossava occhialini tondi da rivoluzionario anni ’20.
Era strano vedere una scena del genere. Di solito era il grande capo a concionare e gli altri a prestare attenzione. Qui c’erano praticamente due barboni che discutevano alla pari coi nostri altezzosi dirigenti. Facendo per di più una gran caciara. Roba mai vista.
Mi infiltrai per passare e quando fui davanti a Franca feci un muto cenno interrogativo. Lei mi rispose muovendo silenziosamente le labbra: “Sono due consulenti nuovi”.
Feci segno di aver capito e scivolai lungo la scrivania di Chiara per infilare il corridoio. Lei non era al suo posto, ma stava rovistando nell’armadietto vicino alla finestra girandomi le spalle. Notai che quel giorno anche lei indossava i jeans e non potei non notare che aveva un culetto niente male.
Una fragorosa risata collettiva riempì l’ingresso, mentre il pizzetto caprino agitava in aria le mani; probabilmente stava narrando qualche buffo aneddoto.
Quando fui in laboratorio dovetti subito mettere un po’ d’ordine tra le mie cose che avevo precipitosamente lasciato la sera prima.
Distratto dalla confusione che si sentiva provenire dall’atrio, mi trovai senza accorgermene immerso nel quotidiano tran tran delle analisi, dimentico della lettera che dovevo scrivere.
Ci volle quasi una mezz’ora prima che il silenzio solito tornasse nell’azienda, ma io non me ne accorsi neppure, troppo preso dai miei calcoli e grafici. Solo a metà mattinata mi ricordai improvvisamente della lettera.
Cominciai a cercare freneticamente una busta per tutto il laboratorio. Non avevo ancora deciso come consegnare la missiva, ma in quel momento la busta mi sembrava una di quelle cose assolutamente imprescindibili.
La trovai in fondo ad un armadietto, assieme ad altre decine, e così non ebbi più scuse.
Mi sedetti alla scrivania, presi un foglio e cominciai a scrivere, prima con titubanza, poi con sempre maggior scioltezza:
Distratto dalla confusione che si sentiva provenire dall’atrio, mi trovai senza accorgermene immerso nel quotidiano tran tran delle analisi, dimentico della lettera che dovevo scrivere.
Ci volle quasi una mezz’ora prima che il silenzio solito tornasse nell’azienda, ma io non me ne accorsi neppure, troppo preso dai miei calcoli e grafici. Solo a metà mattinata mi ricordai improvvisamente della lettera.
Cominciai a cercare freneticamente una busta per tutto il laboratorio. Non avevo ancora deciso come consegnare la missiva, ma in quel momento la busta mi sembrava una di quelle cose assolutamente imprescindibili.
La trovai in fondo ad un armadietto, assieme ad altre decine, e così non ebbi più scuse.
Mi sedetti alla scrivania, presi un foglio e cominciai a scrivere, prima con titubanza, poi con sempre maggior scioltezza:
“Egr. Sig.na Chiara,
con la presente vorrei metterLa al corrente di una situazione ormai insostenibile, per la quale chiedo cortesemente il suo aiuto.
È da diversi giorni che gradirei avere la Sua esimia compagnia davanti ad una pizza, però, a causa della mia rinomata imbranataggine e dell’avversa fortuna degli dei, non sono mai riuscito a trovare occasione opportuna per invitarLa.
La pregherei perciò di venirmi incontro e accettare questa mia comunicazione come invito ufficiale affinché si possa superare questo ostico scoglio.
Resta inteso che la pizza non sarà ‘alla romana’, ma sarà offerta dal sottoscritto assieme alle bevande di Suo gradimento. Così come sarà Sua, se Ella lo vorrà, la scelta del locale.”
con la presente vorrei metterLa al corrente di una situazione ormai insostenibile, per la quale chiedo cortesemente il suo aiuto.
È da diversi giorni che gradirei avere la Sua esimia compagnia davanti ad una pizza, però, a causa della mia rinomata imbranataggine e dell’avversa fortuna degli dei, non sono mai riuscito a trovare occasione opportuna per invitarLa.
La pregherei perciò di venirmi incontro e accettare questa mia comunicazione come invito ufficiale affinché si possa superare questo ostico scoglio.
Resta inteso che la pizza non sarà ‘alla romana’, ma sarà offerta dal sottoscritto assieme alle bevande di Suo gradimento. Così come sarà Sua, se Ella lo vorrà, la scelta del locale.”
Rilessi più volte quanto scritto. Mi sembrava del tono giusto, almeno per una prima bozza. Dovevo solo indicare la modalità di risposta, ma capii che fargliela scrivere a sua volta complicava solo le cose. Così aggiunsi:
“Le faccio cortesemente presente che questo invito si deve intendere valido esclusivamente per questa sera, in quanto urgenti impegni familiari mi obbligano ad assentarmi per il fine settimana. Approfitti quindi subito di questa straordinaria occasione.
Fiducioso in una Sua sollecita risposta, La prego di barrare la casella di suo interesse e rimettere la presente al mittente entro l’orario di ufficio.
Fiducioso in una Sua sollecita risposta, La prego di barrare la casella di suo interesse e rimettere la presente al mittente entro l’orario di ufficio.
[ ] Sì, sono entusiasta
[ ] No, non mi piace la pizza
[ ] No, non me ne può fregare di meno
[ ] No, non mi piace la pizza
[ ] No, non me ne può fregare di meno
Roma, li 23 aprile 1970”
La rilessi ancora un paio di volte. Poteva andare, anche se avrei potuto fare di meglio, ma il tempo stringeva. Avevo accuratamente evitato di scrivere il mio nome, così, se fosse caduta nelle mani sbagliate, non avrei corso troppi rischi. Anche se questo mi complicava la vita per la consegna.
La piegai per bene e l’infilai accuratamente nella busta pensando al modo migliore di farla arrivare all’interessata.
In un primo momento avevo pensata di mettergliela di nascosto tra le sue carte, però avrei dovuto firmarla per farmi riconoscere, quindi dovevo trovare un’altra strada.
La piegai per bene e l’infilai accuratamente nella busta pensando al modo migliore di farla arrivare all’interessata.
In un primo momento avevo pensata di mettergliela di nascosto tra le sue carte, però avrei dovuto firmarla per farmi riconoscere, quindi dovevo trovare un’altra strada.
Non feci in tempo a scrivere il nome della destinataria sulla busta che sentii bussare alla porta.
Rimasi a bocca aperta al vedere la testa di Chiara, incorniciata dai lisci capelli neri, affacciarsi nel vano semiaperto.
“Il grande capo ti vuole.” disse con tono neutro.
“Ah, sì?”
“Sì. Dice anche di portarti dietro tutta la documentazione di Foggia.”
“Foggia?” chiesi sorpreso “Ma io sto lavorando alla Piana Pontina!”
Fece spallucce e accennò a ritirarsi dalla porta.
“Aspetta!” quasi gridai.
Si riaffacciò con aria interrogativa.
Presi con titubanza la lettera tra le mani.
“Quando vorrebbe vedermi?”
“Subito.”
Accennò nuovamente a girarsi.
“Senti” dissi con un po’ di agitazione “Mi faresti mica un favore?”
Alzò gli occhi al cielo e si decise a fare un passo all’interno della stanza.
“Vado di fretta.” disse.
“Eh, lo vedo, ma è una cosa da niente.”
Rimase sulla porta. “Che c’è?” chiese.
Le andai incontro con la busta tra le mani.
“Ecco… potresti mica battermi questa lettera in bella copia?”
Non so come mi venne quella frase, non avevo ancora preparato nessuna strategia al riguardo della lettera.
Fissò la busta e fece una smorfia.
“Dammela, la metterò tra gli altri lavori…” disse allungando la mano.
“Non è di lavoro… è… è una cosa personale.” balbettai.
Sospirò lievemente.
“Per quando ti serve?”
“Per stasera” risposi rapido.
Scosse la testa.
“No, non ho il tempo. Oggi sono impegnatissima.” disse tornando a girarsi verso la porta.
“Ma è una cosa da niente! Ti porterà via… cinque minuti… anzi due!”
Sorrise paziente.
“In due minuti non faccio nemmeno in tempo a infilare la carta nel carrello.”
“Eddai, che sei velocissima…”
“Di che cosa si tratta di così urgente?”
“Eh… si tratta… di una specie di domanda di colloquio…” sparai tutto di un fiato. “Vorrei che fosse battuta in modo professionale per fare la mia figura… capisci.”
Per un attimo spalancò gli occhi, poi li strinse in una fessura oltre la quale vedevo balenare un azzurro cupo.
“E magari è bene che non lo sappia nessuno” disse con tono di mistero.
“Era proprio la mia idea!” assentii con un largo sorriso.
“Non se ne parla nemmeno!”
“Perché?” chiesi con sorpresa.
Avvicinò il suo viso al mio il più possibile, stante la differenza di statura tra di noi.
“Ti vuoi licenziare!” asserì convinta.
Scoppiai a ridere.
“Ma no! Ma cosa ti viene in mente.”
“Scusa, sai. Una domanda di colloquio… una cosa personale… che deve restare segreta… Non mi tirare in mezzo a queste cose! Ci tengo io al mio posto di lavoro!”
“Ma cosa c’entra il tuo posto di lavoro?”
“C’entra!… Se si viene a sapere che ti ho dato una mano a passare alla concorrenza… mi danno subito il benservito! Dopo me lo trovi te un altro lavoro?”
In quel momento arrivò uno dei disegnatori e si insinuò tra noi e la porta per entrare.
“Scusate. Vengo a prendere un po’ d’acqua”
“Fai pure.” dissi facendomi da parte.
Ogni tanto capitava che dalla sala disegni venisse qualcuno a prendere dell’acqua per i colori, essendo la sala disegni più vicina al laboratorio che non alla toilette.
Il ragazzo andò direttamente al lavabo con la sua bottiglietta vuota. Sapeva la strada.
Tornai a rivolgermi a Chiara, che nel frattempo era uscita nel corridoio.
Le porsi la busta e le dissi sottovoce: “Non è niente di tutto questo, lo potrai vedere coi tuoi occhi appena apri la busta. Anzi la puoi aprire anche subito…”. Non so come ebbi il coraggio di pronunciare quell’ultima frase.
Scosse la testa. “No. Davvero, non ho il tempo.”
Le ficcai la busta tra le mani. “Facciamo così. Tu gli dai un’occhiata… se vedi che ti porta via troppo tempo… amen.”
“E il tuo colloquio?”
Mi strinsi nelle spalle. “Ne ho un’altra copia a mano. Userò quella.” mentii.
“Ma perché? È così importante? La devi consegnare proprio stasera?”
“È importante, sì. E poi scadono i termini.” sospirai con rassegnazione.
Prese la busta malvolentieri e si girò per tornare al suo posto.
La guardai allontanarsi con la sua tipica andatura. Che cominciavo a trovare piacevole, soprattutto quando indossava un paio di jeans a evidenziarne il culetto tondo.
Mi sentii battere due colpetti sulla spalla. Il disegnatore voleva uscire dal laboratorio. Mi scansai per farlo passare e lui si fermò al mio fianco a guardare a sua volta la figura di Chiara che si allontanava lungo il corridoio. Girò il viso verso di me, con aria complice.
“Eh…” si limitò a dire, annuendo con la testa.
Annuii anch’io, senza sapere bene perché. Lui tornò nella sala disegni e io rientrai in laboratorio.
“Eh…” ripetei mentalmente “Tutti la trovano interessante. Dov’è che sbaglio io?”
Rimasi a bocca aperta al vedere la testa di Chiara, incorniciata dai lisci capelli neri, affacciarsi nel vano semiaperto.
“Il grande capo ti vuole.” disse con tono neutro.
“Ah, sì?”
“Sì. Dice anche di portarti dietro tutta la documentazione di Foggia.”
“Foggia?” chiesi sorpreso “Ma io sto lavorando alla Piana Pontina!”
Fece spallucce e accennò a ritirarsi dalla porta.
“Aspetta!” quasi gridai.
Si riaffacciò con aria interrogativa.
Presi con titubanza la lettera tra le mani.
“Quando vorrebbe vedermi?”
“Subito.”
Accennò nuovamente a girarsi.
“Senti” dissi con un po’ di agitazione “Mi faresti mica un favore?”
Alzò gli occhi al cielo e si decise a fare un passo all’interno della stanza.
“Vado di fretta.” disse.
“Eh, lo vedo, ma è una cosa da niente.”
Rimase sulla porta. “Che c’è?” chiese.
Le andai incontro con la busta tra le mani.
“Ecco… potresti mica battermi questa lettera in bella copia?”
Non so come mi venne quella frase, non avevo ancora preparato nessuna strategia al riguardo della lettera.
Fissò la busta e fece una smorfia.
“Dammela, la metterò tra gli altri lavori…” disse allungando la mano.
“Non è di lavoro… è… è una cosa personale.” balbettai.
Sospirò lievemente.
“Per quando ti serve?”
“Per stasera” risposi rapido.
Scosse la testa.
“No, non ho il tempo. Oggi sono impegnatissima.” disse tornando a girarsi verso la porta.
“Ma è una cosa da niente! Ti porterà via… cinque minuti… anzi due!”
Sorrise paziente.
“In due minuti non faccio nemmeno in tempo a infilare la carta nel carrello.”
“Eddai, che sei velocissima…”
“Di che cosa si tratta di così urgente?”
“Eh… si tratta… di una specie di domanda di colloquio…” sparai tutto di un fiato. “Vorrei che fosse battuta in modo professionale per fare la mia figura… capisci.”
Per un attimo spalancò gli occhi, poi li strinse in una fessura oltre la quale vedevo balenare un azzurro cupo.
“E magari è bene che non lo sappia nessuno” disse con tono di mistero.
“Era proprio la mia idea!” assentii con un largo sorriso.
“Non se ne parla nemmeno!”
“Perché?” chiesi con sorpresa.
Avvicinò il suo viso al mio il più possibile, stante la differenza di statura tra di noi.
“Ti vuoi licenziare!” asserì convinta.
Scoppiai a ridere.
“Ma no! Ma cosa ti viene in mente.”
“Scusa, sai. Una domanda di colloquio… una cosa personale… che deve restare segreta… Non mi tirare in mezzo a queste cose! Ci tengo io al mio posto di lavoro!”
“Ma cosa c’entra il tuo posto di lavoro?”
“C’entra!… Se si viene a sapere che ti ho dato una mano a passare alla concorrenza… mi danno subito il benservito! Dopo me lo trovi te un altro lavoro?”
In quel momento arrivò uno dei disegnatori e si insinuò tra noi e la porta per entrare.
“Scusate. Vengo a prendere un po’ d’acqua”
“Fai pure.” dissi facendomi da parte.
Ogni tanto capitava che dalla sala disegni venisse qualcuno a prendere dell’acqua per i colori, essendo la sala disegni più vicina al laboratorio che non alla toilette.
Il ragazzo andò direttamente al lavabo con la sua bottiglietta vuota. Sapeva la strada.
Tornai a rivolgermi a Chiara, che nel frattempo era uscita nel corridoio.
Le porsi la busta e le dissi sottovoce: “Non è niente di tutto questo, lo potrai vedere coi tuoi occhi appena apri la busta. Anzi la puoi aprire anche subito…”. Non so come ebbi il coraggio di pronunciare quell’ultima frase.
Scosse la testa. “No. Davvero, non ho il tempo.”
Le ficcai la busta tra le mani. “Facciamo così. Tu gli dai un’occhiata… se vedi che ti porta via troppo tempo… amen.”
“E il tuo colloquio?”
Mi strinsi nelle spalle. “Ne ho un’altra copia a mano. Userò quella.” mentii.
“Ma perché? È così importante? La devi consegnare proprio stasera?”
“È importante, sì. E poi scadono i termini.” sospirai con rassegnazione.
Prese la busta malvolentieri e si girò per tornare al suo posto.
La guardai allontanarsi con la sua tipica andatura. Che cominciavo a trovare piacevole, soprattutto quando indossava un paio di jeans a evidenziarne il culetto tondo.
Mi sentii battere due colpetti sulla spalla. Il disegnatore voleva uscire dal laboratorio. Mi scansai per farlo passare e lui si fermò al mio fianco a guardare a sua volta la figura di Chiara che si allontanava lungo il corridoio. Girò il viso verso di me, con aria complice.
“Eh…” si limitò a dire, annuendo con la testa.
Annuii anch’io, senza sapere bene perché. Lui tornò nella sala disegni e io rientrai in laboratorio.
“Eh…” ripetei mentalmente “Tutti la trovano interessante. Dov’è che sbaglio io?”
Cominciai a preparare con cura la documentazione di Foggia. Era già messa tutta da una parte, ma la riguardai con pignoleria per essere sicuro che fosse bene in ordine e soprattutto per dare tempo a Chiara di leggere la lettera. Con un po’ di titubanza mi misi infine le carte sotto il braccio e mi incamminai lungo il corridoio.
Arrivato davanti alle segretarie mi fermai un attimo. Chiara, percependo la mia presenza, alzò uno sguardo distratto e tornò indifferente alla sua occupazione. Stessa cosa da parte di Franca.
Ci rimasi un po’ male.
Mi diressi verso l’ufficio del capo, ma prima che alzassi il braccio per bussare mi giunse un “Ah, ah!” di Franca.
“Aspetta lì.” mi disse “È occupato adesso.”
Cominciai a dondolare da una gamba all’altra sbuffando. Nessuna delle due mi degnava. Chiara era presissima e Franca mi diede la netta impressione che non le girasse proprio. Sembrava quasi che avessero litigato.
Ogni tanto gettavo un’occhiata di straforo verso Chiara per captare qualsiasi reazione che potesse aver a che fare con la mia lettera, ma non mi si filava proprio. Potevo essere tranquillamente uno dei portacenere dell’ingresso.
L’atteggiamento delle due ragazze però mi consolava di un fatto: certamente Chiara non aveva fatto cenno della lettera all’amica.
Arrivato davanti alle segretarie mi fermai un attimo. Chiara, percependo la mia presenza, alzò uno sguardo distratto e tornò indifferente alla sua occupazione. Stessa cosa da parte di Franca.
Ci rimasi un po’ male.
Mi diressi verso l’ufficio del capo, ma prima che alzassi il braccio per bussare mi giunse un “Ah, ah!” di Franca.
“Aspetta lì.” mi disse “È occupato adesso.”
Cominciai a dondolare da una gamba all’altra sbuffando. Nessuna delle due mi degnava. Chiara era presissima e Franca mi diede la netta impressione che non le girasse proprio. Sembrava quasi che avessero litigato.
Ogni tanto gettavo un’occhiata di straforo verso Chiara per captare qualsiasi reazione che potesse aver a che fare con la mia lettera, ma non mi si filava proprio. Potevo essere tranquillamente uno dei portacenere dell’ingresso.
L’atteggiamento delle due ragazze però mi consolava di un fatto: certamente Chiara non aveva fatto cenno della lettera all’amica.
All’improvviso si spalancò la porta dell’ingresso ed entrò Francesco, in piena tenuta mimetica da campagna e con aria spavalda.
“Buongiorno alle più belle ragazze di Roma! Come state?”
Si diresse a lunghe falcate, per quanto concesso dalle sue corte gambe, verso le segretarie che sembrarono improvvisamente svegliarsi dal torpore. Si alzarono entrambe per salutarlo e lui corse prima ad abbracciare e baciare Franca sulle guance, poi rivolse le sue attenzioni a Chiara. “Lo sai che ti voglio bene,” le disse “ma prima viene la ‘capa’. Poi vieni tu, ma tu sarai sempre la ‘capa’ del mio cuore.”
“Grazie, mi lusinghi.” replicò Chiara con un grande sorriso, dopo aver ricambiato i suoi baci con affettazione.
Franca tornò a sedersi e gli chiese da dove sbucasse, e lui rispose che era appena rientrato dalla Sardegna. E, per quanto mi riguardava, avrebbe potuto anche restarci.
Finalmente dette segno di avermi notato e si rivolse a me: “Oh, Bruno! Vedo che ti hanno promosso usciere.”
Chiara ridacchiò mentre tornava al suo lavoro.
“Ti sbagli” replicai “Sono stato promosso buttafuori.”
Però lui non afferrò il senso della mia risposta perché già non mi ascoltava più ed era tornato a prestare attenzione a Chiara.
“Dì la verità. Ti sono mancato?”
“Non sai quanto.” cinquettò lei. “Sai già dove sei destinato ora?” gli chiese.
“Occhi belli, sei tu che me lo devi dire.”
“Aspetta che ti cerco la missione” disse lei, chinandosi sorridente a cercare sotto il ripiano della scrivania.
Francesco allungò il collo per osservarla meglio. “Se mi dai una missione qui vicino, stasera ti invito fuori a cena.”
“Magari.” replicò Chiara rialzandosi e sistemandosi una ciocca di capelli. “Però non sono io a stabilire le missioni purtroppo.”
“Ecco qua!” aggiunse sbattendo una cartellina sulla scrivania e indicando con l’indice il testo scritto a pennarello “Pergine Valdarno!”
“Beh, non è proprio qui in periferia. Ma non è lontanissimo, per te potrei fare uno sforzo. Ti invito a cena e poi faccio il viaggio di notte. Che ne dici?”
Per un attimo ebbi il terrore che lei gli rispondesse di sì.
Quella conversazione mi aveva messo addosso una profonda tristezza. La semplicità e naturalezza con cui lui l’aveva invitata a cena facevano apparire improvvisamente complicata e ridicola la mia lettera, che avevo immaginato invece spiritosa ed originale.
Chiara gli sorrise amabile. “Stasera non posso. Mi sarebbe piaciuto, ma proprio non posso. E non voglio nemmeno averti sulla coscienza se poi ti dovessi addormentare in autostrada.”
Lui rispose che, se avesse accettato, sarebbe rimasto sveglio più che mai, altro che addormentarsi; ma questa volta ero io a non prestargli più attenzione. Quel “Stasera non posso.” mi aveva risollevato subito l’umore.
Chiara aveva letto la lettera ed aveva deciso che usciva con me e non con quello stupido ometto.
In realtà Francesco non era uno “stupido ometto”. Certo non era particolarmente intelligente e non era altissimo (più o meno come Chiara), ma era comunque un bel ragazzo. Dal mio punto di vista, a parte i motivi noti di contrasto tra noi, lo trovavo piuttosto demodé. Il suo abbigliamento e soprattutto la sua pettinatura impomatata gli davano un’aria vecchia. Anche il suo modo di esprimersi lo faceva sembrare antico. Era un ragazzo degli anni ’50 piuttosto che dei ’60. Era fuori posto, soprattutto con Chiara.
“Buongiorno alle più belle ragazze di Roma! Come state?”
Si diresse a lunghe falcate, per quanto concesso dalle sue corte gambe, verso le segretarie che sembrarono improvvisamente svegliarsi dal torpore. Si alzarono entrambe per salutarlo e lui corse prima ad abbracciare e baciare Franca sulle guance, poi rivolse le sue attenzioni a Chiara. “Lo sai che ti voglio bene,” le disse “ma prima viene la ‘capa’. Poi vieni tu, ma tu sarai sempre la ‘capa’ del mio cuore.”
“Grazie, mi lusinghi.” replicò Chiara con un grande sorriso, dopo aver ricambiato i suoi baci con affettazione.
Franca tornò a sedersi e gli chiese da dove sbucasse, e lui rispose che era appena rientrato dalla Sardegna. E, per quanto mi riguardava, avrebbe potuto anche restarci.
Finalmente dette segno di avermi notato e si rivolse a me: “Oh, Bruno! Vedo che ti hanno promosso usciere.”
Chiara ridacchiò mentre tornava al suo lavoro.
“Ti sbagli” replicai “Sono stato promosso buttafuori.”
Però lui non afferrò il senso della mia risposta perché già non mi ascoltava più ed era tornato a prestare attenzione a Chiara.
“Dì la verità. Ti sono mancato?”
“Non sai quanto.” cinquettò lei. “Sai già dove sei destinato ora?” gli chiese.
“Occhi belli, sei tu che me lo devi dire.”
“Aspetta che ti cerco la missione” disse lei, chinandosi sorridente a cercare sotto il ripiano della scrivania.
Francesco allungò il collo per osservarla meglio. “Se mi dai una missione qui vicino, stasera ti invito fuori a cena.”
“Magari.” replicò Chiara rialzandosi e sistemandosi una ciocca di capelli. “Però non sono io a stabilire le missioni purtroppo.”
“Ecco qua!” aggiunse sbattendo una cartellina sulla scrivania e indicando con l’indice il testo scritto a pennarello “Pergine Valdarno!”
“Beh, non è proprio qui in periferia. Ma non è lontanissimo, per te potrei fare uno sforzo. Ti invito a cena e poi faccio il viaggio di notte. Che ne dici?”
Per un attimo ebbi il terrore che lei gli rispondesse di sì.
Quella conversazione mi aveva messo addosso una profonda tristezza. La semplicità e naturalezza con cui lui l’aveva invitata a cena facevano apparire improvvisamente complicata e ridicola la mia lettera, che avevo immaginato invece spiritosa ed originale.
Chiara gli sorrise amabile. “Stasera non posso. Mi sarebbe piaciuto, ma proprio non posso. E non voglio nemmeno averti sulla coscienza se poi ti dovessi addormentare in autostrada.”
Lui rispose che, se avesse accettato, sarebbe rimasto sveglio più che mai, altro che addormentarsi; ma questa volta ero io a non prestargli più attenzione. Quel “Stasera non posso.” mi aveva risollevato subito l’umore.
Chiara aveva letto la lettera ed aveva deciso che usciva con me e non con quello stupido ometto.
In realtà Francesco non era uno “stupido ometto”. Certo non era particolarmente intelligente e non era altissimo (più o meno come Chiara), ma era comunque un bel ragazzo. Dal mio punto di vista, a parte i motivi noti di contrasto tra noi, lo trovavo piuttosto demodé. Il suo abbigliamento e soprattutto la sua pettinatura impomatata gli davano un’aria vecchia. Anche il suo modo di esprimersi lo faceva sembrare antico. Era un ragazzo degli anni ’50 piuttosto che dei ’60. Era fuori posto, soprattutto con Chiara.
In quel momento si aprì la porta dell’ufficio del grande capo. Apparvero sulla soglia lui ed un tizio che non conoscevo. Si strinsero la mano per salutarsi e, mentre il tizio si dirigeva verso le segretarie, il grande capo mi fece cenno di accomodarmi.
Entrai malvolentieri. Avrei preferito rimanere a tenere d’occhio Francesco.
Mentre chiudevo la porta, curiosamente il mio pensiero si rivolse a Franca. A parte quell’attimo di saluti, a dire il vero piuttosto formale da parte sua, era rimasta in silenzio e a testa bassa.
Nell’ufficio ritrovai il tizio dalla barba di capra e gli occhialini che mi si fece incontro a stringermi la mano. La sua presa era sicura e il suo alito sapeva di vino.
Il capo ci presentò, lui come dottore ed io come signore, poi si fece consegnare le carte di Foggia che sparse sulla scrivania. Si misero insieme ad esaminarle e a commentare. Io rimasi in piedi a rispondere di volta in volta alle richieste di chiarimenti provenire da uno o dall’altro.
“Lei adesso di cosa si sta occupando?” mi chiese il grande capo.
“Della Piana Pontina” risposi.
Annuì. “Quanto le mancherebbe per finire Foggia, se lasciasse perdere la Piana Pontina?”
Mi strinsi nelle spalle: “Beh, Foggia è praticamente finita. Penso che, lavorandoci tutto il pomeriggio e tutto domani, lunedì gliela potrei già consegnare.”
“Domani è venerdì. Da ciò che ha detto potrei avere il lavoro finito per sabato mattina. Giusto?”
“Beh, sì… ho detto lunedi perché pensavo che il fine settimana…”
“Noi si lavora otto giorni su sette!” disse ridendo l’uomo col pizzetto.
“Domani sera è pronto tutto.” dissi
“Allora facciamo così. Lei domani sera lascia tutto a Chiara, che me lo consegnerà poi sabato mattina.”
“Va bene” dissi.
“Intanto si faccia preparare una missione perché lunedì mattina lei invece dovrà essere a Reggio Calabria.”
Mi sentii mancare il pavimento sotto i piedi.
“Reggio Calabria?! Ma… e le analisi della Piana Pontina?” chiesi esterefatto.
“Abbiamo già provveduto a chi la sostituirà. Però, siccome questa persona non potrà prendere servizio prima della prossima settimana, vi dovrete poi sentire per telefono per le consegne del lavoro.”
“Ho capito.” mormorai a voce bassa.
La cosa mi era arrivata addosso come una valanga, assolutamente imprevista. La mia mente cercava affannosamente di trovare qualche appiglio per prendere tempo.
Tentai di afferrarmi ad un esile filo. “Non so se c’è una macchina pronta per domenica…”
“Non c’è bisogno. Lei andrà in treno. Alla stazione troverà qualcuno che la viene a prendere.”
Sapevo già chi stava lavorando a Reggio Calabria: Michele. E questa era l’unica cosa buona che vedevo in quel momento. Il resto era un caos totale nella mia testa. Dovevo riorganizzarmi e valutai al volo la possibilità di non andare a casa quel fine settimana. Mi volli illudere che si trattasse di una emergenza e che me la sarei cavata con pochi giorni.
“Quanto tempo dovrò stare?” chiesi
“Starete in due per una settimana, giusto per le consegne, e poi dovrà completare il lavoro da solo…”
“Ad occhio parliamo di quattro o cinque mesi.” intervenne l’uomo col pizzetto.
Non un muscolo del mio viso tradì la delusione profonda, ma l’uomo col pizzetto dovette comunque leggere la mia perplessità.
“Qualche problema?” chiese con un sorriso a mostrarmi i denti ingialliti dal troppo fumare.
“No. Stavo pensando a come organizzarmi per il vestiario… contavo di andare a casa per questo fine settimana…”
“Dove abita?” chiese lui di nuovo.
“A Ravenna…”
“Ah, Ravenna! Bella cittadina. Ci sono stato una volta. Ho mangiato proprio bene…”
“Beh, fino a lunedì ha tutto il tempo per organizzarsi.” lo interruppe il grande capo. “Vada pure adesso. Si faccia fare la missione da Chiara o Franca. E termini il lavoro di Foggia per sabato mattina, mi raccomando.”
Raccattai in silenzio le carte che avevo portato ed uscii nell’atrio.
Entrai malvolentieri. Avrei preferito rimanere a tenere d’occhio Francesco.
Mentre chiudevo la porta, curiosamente il mio pensiero si rivolse a Franca. A parte quell’attimo di saluti, a dire il vero piuttosto formale da parte sua, era rimasta in silenzio e a testa bassa.
Nell’ufficio ritrovai il tizio dalla barba di capra e gli occhialini che mi si fece incontro a stringermi la mano. La sua presa era sicura e il suo alito sapeva di vino.
Il capo ci presentò, lui come dottore ed io come signore, poi si fece consegnare le carte di Foggia che sparse sulla scrivania. Si misero insieme ad esaminarle e a commentare. Io rimasi in piedi a rispondere di volta in volta alle richieste di chiarimenti provenire da uno o dall’altro.
“Lei adesso di cosa si sta occupando?” mi chiese il grande capo.
“Della Piana Pontina” risposi.
Annuì. “Quanto le mancherebbe per finire Foggia, se lasciasse perdere la Piana Pontina?”
Mi strinsi nelle spalle: “Beh, Foggia è praticamente finita. Penso che, lavorandoci tutto il pomeriggio e tutto domani, lunedì gliela potrei già consegnare.”
“Domani è venerdì. Da ciò che ha detto potrei avere il lavoro finito per sabato mattina. Giusto?”
“Beh, sì… ho detto lunedi perché pensavo che il fine settimana…”
“Noi si lavora otto giorni su sette!” disse ridendo l’uomo col pizzetto.
“Domani sera è pronto tutto.” dissi
“Allora facciamo così. Lei domani sera lascia tutto a Chiara, che me lo consegnerà poi sabato mattina.”
“Va bene” dissi.
“Intanto si faccia preparare una missione perché lunedì mattina lei invece dovrà essere a Reggio Calabria.”
Mi sentii mancare il pavimento sotto i piedi.
“Reggio Calabria?! Ma… e le analisi della Piana Pontina?” chiesi esterefatto.
“Abbiamo già provveduto a chi la sostituirà. Però, siccome questa persona non potrà prendere servizio prima della prossima settimana, vi dovrete poi sentire per telefono per le consegne del lavoro.”
“Ho capito.” mormorai a voce bassa.
La cosa mi era arrivata addosso come una valanga, assolutamente imprevista. La mia mente cercava affannosamente di trovare qualche appiglio per prendere tempo.
Tentai di afferrarmi ad un esile filo. “Non so se c’è una macchina pronta per domenica…”
“Non c’è bisogno. Lei andrà in treno. Alla stazione troverà qualcuno che la viene a prendere.”
Sapevo già chi stava lavorando a Reggio Calabria: Michele. E questa era l’unica cosa buona che vedevo in quel momento. Il resto era un caos totale nella mia testa. Dovevo riorganizzarmi e valutai al volo la possibilità di non andare a casa quel fine settimana. Mi volli illudere che si trattasse di una emergenza e che me la sarei cavata con pochi giorni.
“Quanto tempo dovrò stare?” chiesi
“Starete in due per una settimana, giusto per le consegne, e poi dovrà completare il lavoro da solo…”
“Ad occhio parliamo di quattro o cinque mesi.” intervenne l’uomo col pizzetto.
Non un muscolo del mio viso tradì la delusione profonda, ma l’uomo col pizzetto dovette comunque leggere la mia perplessità.
“Qualche problema?” chiese con un sorriso a mostrarmi i denti ingialliti dal troppo fumare.
“No. Stavo pensando a come organizzarmi per il vestiario… contavo di andare a casa per questo fine settimana…”
“Dove abita?” chiese lui di nuovo.
“A Ravenna…”
“Ah, Ravenna! Bella cittadina. Ci sono stato una volta. Ho mangiato proprio bene…”
“Beh, fino a lunedì ha tutto il tempo per organizzarsi.” lo interruppe il grande capo. “Vada pure adesso. Si faccia fare la missione da Chiara o Franca. E termini il lavoro di Foggia per sabato mattina, mi raccomando.”
Raccattai in silenzio le carte che avevo portato ed uscii nell’atrio.
Mi fermai con la porta alle spalle a fissare il vuoto. Dovevo avere un’aria stravolta tanto che sentii Chiara chiedermi: “Che è successo?”
Francesco non c’era più.
Chiara mi guardava sorpresa e anche Franca mi fissava con aria interrogativa.
Mi avvicinai: “Mi mandano a Reggio Calabria”. Neanche avessi detto che mi volevano seppellire vivo.
Chiara gettò un’occhiata all’amica e poi tornò a guardarmi. Sorrideva, ma aveva lo sguardo serio. “Beh? Non sei contento? Vai di nuovo in missione. Vuol dire che è finita la punizione!”
Non avevo pensato a questo aspetto della cosa. Mi consideravano di nuovo affidabile e mi assegnavano anche una grossa missione. Avrei dovuto fare salti di gioia, invece mi sentivo intrappolato.
“Sono contento, infatti. Solo sorpreso.”
“E quando parti?” mi chiese Franca con tono indifferente, mentre Chiara tornava a battere sui tasti della macchina.
“Lunedì devo essere giù.”
“Allora bisognerà prepare la missione. Ci pensi tu Chiara?” disse Franca.
“Va bene, ma c’è tempo anche domani.” rispose lei. “Che strano” aggiunse poi “Sapevo che la missione di Michele durava fino alla fine del mese…”
“Mi deve dare le consegne.” chiarii io.
“Eh, già.” mormorò, senza fermarsi nella battitura. Si arrestò un attimo dandomi un’occhiata pensierosa. Come se volesse chiedermi qualcosa, ma tornò subito al suo lavoro.
Nessuna delle due sembrò avere più niente da dirmi, così mi incamminai mogio verso il laboratorio.
Francesco non c’era più.
Chiara mi guardava sorpresa e anche Franca mi fissava con aria interrogativa.
Mi avvicinai: “Mi mandano a Reggio Calabria”. Neanche avessi detto che mi volevano seppellire vivo.
Chiara gettò un’occhiata all’amica e poi tornò a guardarmi. Sorrideva, ma aveva lo sguardo serio. “Beh? Non sei contento? Vai di nuovo in missione. Vuol dire che è finita la punizione!”
Non avevo pensato a questo aspetto della cosa. Mi consideravano di nuovo affidabile e mi assegnavano anche una grossa missione. Avrei dovuto fare salti di gioia, invece mi sentivo intrappolato.
“Sono contento, infatti. Solo sorpreso.”
“E quando parti?” mi chiese Franca con tono indifferente, mentre Chiara tornava a battere sui tasti della macchina.
“Lunedì devo essere giù.”
“Allora bisognerà prepare la missione. Ci pensi tu Chiara?” disse Franca.
“Va bene, ma c’è tempo anche domani.” rispose lei. “Che strano” aggiunse poi “Sapevo che la missione di Michele durava fino alla fine del mese…”
“Mi deve dare le consegne.” chiarii io.
“Eh, già.” mormorò, senza fermarsi nella battitura. Si arrestò un attimo dandomi un’occhiata pensierosa. Come se volesse chiedermi qualcosa, ma tornò subito al suo lavoro.
Nessuna delle due sembrò avere più niente da dirmi, così mi incamminai mogio verso il laboratorio.
Non riuscivo assolutamente ad essere contento.
È vero, sarei andato a trovare Michele, anche se per pochi giorni.
Era finita la punizione, perciò mi allontanavo per lungo tempo dal pollaio che era l’ufficio.
Avrei vissuto all’aria aperta, gestendomi il lavoro come meglio mi fosse piaciuto.
Avrei lavorato da solo, quindi non avrei corso rischi con qualche collega stronzo come Francesco.
Ero in pratica libero.
Il problema di Chiara, innamorata di me ed io non innamorato di lei, che mi sembrò in quel momento veramente insignificante, era un problema risolto. Semplicemente non dovevo dirle niente. Cinque mesi di lontananza erano una vita, e il discorso si sarebbe spento da sé.
Però non ero felice. Pensare di andare a casa solamente per prendere il ricambio, senza potermi rilassare coi vecchi amici, e poi l’idea di vivere lontano per tutti quei mesi senza più rivedere nessuno, mi rattristava. Anche ciò che mi aveva raccontato a suo tempo Michele non mi faceva esultare. A Reggio Calabria, diceva, le ragazze andavano tutte vestite di nero e, durante il passeggio serale, i maschi stavano su un marciapiedi e le femmine sull’altro e guai ad avvicinarle. Inoltre pareva che in quel momento ci fosse un po’ di maretta per la storia del capoluogo. Michele pensava che le cose avrebbero preso una brutta piega, anche se io la ritenevo una congettura esagerata. Chi vuoi che si ammazzi per un capoluogo?
È vero, sarei andato a trovare Michele, anche se per pochi giorni.
Era finita la punizione, perciò mi allontanavo per lungo tempo dal pollaio che era l’ufficio.
Avrei vissuto all’aria aperta, gestendomi il lavoro come meglio mi fosse piaciuto.
Avrei lavorato da solo, quindi non avrei corso rischi con qualche collega stronzo come Francesco.
Ero in pratica libero.
Il problema di Chiara, innamorata di me ed io non innamorato di lei, che mi sembrò in quel momento veramente insignificante, era un problema risolto. Semplicemente non dovevo dirle niente. Cinque mesi di lontananza erano una vita, e il discorso si sarebbe spento da sé.
Però non ero felice. Pensare di andare a casa solamente per prendere il ricambio, senza potermi rilassare coi vecchi amici, e poi l’idea di vivere lontano per tutti quei mesi senza più rivedere nessuno, mi rattristava. Anche ciò che mi aveva raccontato a suo tempo Michele non mi faceva esultare. A Reggio Calabria, diceva, le ragazze andavano tutte vestite di nero e, durante il passeggio serale, i maschi stavano su un marciapiedi e le femmine sull’altro e guai ad avvicinarle. Inoltre pareva che in quel momento ci fosse un po’ di maretta per la storia del capoluogo. Michele pensava che le cose avrebbero preso una brutta piega, anche se io la ritenevo una congettura esagerata. Chi vuoi che si ammazzi per un capoluogo?
Mentre mi affannavo a mettere da parte i campioni della Piana Pontina e a rimettere sul bancone gli ultimi di Foggia, pensavo a come farmi ridare la lettera da Chiara.
Non avevo capito se l’avesse letta oppure no. C’era solo quella frase detta a Francesco a farmelo pensare, ma poteva essere una frase di circostanza.
D’altra parte il suo atteggiamento era quello solito. Non un’occhiata o un segnale qualsiasi che mi desse modo di capire che fosse cambiato qualcosa.
Ero orientato ad andare semplicemente a chiedergliela indietro. In fondo, visto che dovevo partire, era ragionevole che rinunciassi ad un colloquio, qualunque argomento trattasse.
Il dubbio che mi tratteneva era la possibilità che invece l’avesse letta. Come avrei spiegato la rinuncia a mangiare un pizza con lei? Reggio Calabria non era certo una spiegazione sufficiente.
Alla fine optai per la pizza. L’idea di passare la serata da solo a pensare a Reggio Calabria, mi metteva malinconia. Mangiare una pizza in compagnia, fosse anche di Chiara, invece mi avrebbe permesso di distrarmi e anche confidare le mie malinconie a qualcuno disposto ad ascoltarle.
In fondo sarebbe cambiato solo l’obiettivo. Non dovevo più dirle che lei non mi interessava, che era la cosa che più mi tratteneva, ma dovevo semplicemente passare una serata piacevole con qualcuno.
Risolto questo piccolo dubbio, mi buttai a corpo morto nelle ultime analisi della mia carriera.
Non avevo capito se l’avesse letta oppure no. C’era solo quella frase detta a Francesco a farmelo pensare, ma poteva essere una frase di circostanza.
D’altra parte il suo atteggiamento era quello solito. Non un’occhiata o un segnale qualsiasi che mi desse modo di capire che fosse cambiato qualcosa.
Ero orientato ad andare semplicemente a chiedergliela indietro. In fondo, visto che dovevo partire, era ragionevole che rinunciassi ad un colloquio, qualunque argomento trattasse.
Il dubbio che mi tratteneva era la possibilità che invece l’avesse letta. Come avrei spiegato la rinuncia a mangiare un pizza con lei? Reggio Calabria non era certo una spiegazione sufficiente.
Alla fine optai per la pizza. L’idea di passare la serata da solo a pensare a Reggio Calabria, mi metteva malinconia. Mangiare una pizza in compagnia, fosse anche di Chiara, invece mi avrebbe permesso di distrarmi e anche confidare le mie malinconie a qualcuno disposto ad ascoltarle.
In fondo sarebbe cambiato solo l’obiettivo. Non dovevo più dirle che lei non mi interessava, che era la cosa che più mi tratteneva, ma dovevo semplicemente passare una serata piacevole con qualcuno.
Risolto questo piccolo dubbio, mi buttai a corpo morto nelle ultime analisi della mia carriera.
A vedere tutti quei campioni in fila sul bancone cominciai a dubitare di riuscire a terminarli per la sera dopo. Così, all’ora di pranzo, decisi di rinunciare al pasto e di rimanere a lavorare. Mi fermai solo per andare a dare un’occhiata alla postazione di Chiara, mentre lei era a pranzo, nell’eventualità di trovare la lettera da qualche parte, oppure qualche segno della sua risposta.
Sorpresi invece Franca e Gianni intenti in una animata discussione, vicini alla finestra. Chiara non era presente. Ovviamente era andata a mangiare, mentre loro due avevano preferito restare in ufficio a litigare. Questo spiegava l’atteggiamento di Franca.
Feci un cenno con la mano, quasi a scusarmi dell’intromissione involontaria, e mi trovai a sgusciare mio malgrado fuori dalla porta dell’ufficio.
A quel punto ero fuori, tanto valeva scendere a Piazzale Flaminio per farmi almeno un caffé. Forse avrei incontrato Chiara che rientrava.
La incontrai invece al suo solito posto, intenta a battere a macchina, quando rientrai a mia volta. Franca se ne stava immusonita alla sua scrivania a correggere nervosamente un foglio con la matita.
Attraversai l’atrio più lentamente del solito, aspettandomi un segno qualsiasi da parte di Chiara, ma lei mi ignorò completamente.
La cosa mi innervosì. Tornai alle mie provette, con un senso di disagio crescente.
Nel pomeriggio, ogni tanto andavo al gabinetto per poterle passare davanti sperando di captare qualcosa. Tutto inutile, lei era presissima dal lavoro e l’unica frase che mi rivolse in quel frattempo fu se avessi visto Franca da qualche parte.
Alla fine andavo ormai al gabinetto solo per specchiarmi un attimo davanti al lavandino prima di uscire di nuovo, visto che avevo ormai esaurito tutta l’acqua della mia vescica.
Sorpresi invece Franca e Gianni intenti in una animata discussione, vicini alla finestra. Chiara non era presente. Ovviamente era andata a mangiare, mentre loro due avevano preferito restare in ufficio a litigare. Questo spiegava l’atteggiamento di Franca.
Feci un cenno con la mano, quasi a scusarmi dell’intromissione involontaria, e mi trovai a sgusciare mio malgrado fuori dalla porta dell’ufficio.
A quel punto ero fuori, tanto valeva scendere a Piazzale Flaminio per farmi almeno un caffé. Forse avrei incontrato Chiara che rientrava.
La incontrai invece al suo solito posto, intenta a battere a macchina, quando rientrai a mia volta. Franca se ne stava immusonita alla sua scrivania a correggere nervosamente un foglio con la matita.
Attraversai l’atrio più lentamente del solito, aspettandomi un segno qualsiasi da parte di Chiara, ma lei mi ignorò completamente.
La cosa mi innervosì. Tornai alle mie provette, con un senso di disagio crescente.
Nel pomeriggio, ogni tanto andavo al gabinetto per poterle passare davanti sperando di captare qualcosa. Tutto inutile, lei era presissima dal lavoro e l’unica frase che mi rivolse in quel frattempo fu se avessi visto Franca da qualche parte.
Alla fine andavo ormai al gabinetto solo per specchiarmi un attimo davanti al lavandino prima di uscire di nuovo, visto che avevo ormai esaurito tutta l’acqua della mia vescica.
Al sopraggiungere dell’orario di chiusura cominciai seriamente ad agitarmi ed il mio umore cambiò radicalmente.
Avrei potuto lavorare fino a tardi, anzi avrei proprio dovuto quel giorno, ma la paura che Chiara se ne andasse senza ricordarsi dell’impegno preso mi fece decidere di interrompere il lavoro e di uscire per tempo.
Arrivai alla sua scrivania e lì mi fermai platealmente.
Lei stava raccogliendo dei fogli in un contenitore e non mi badò subito. Franca non c’era.
Quando finalmente percepì la mia presenza alzò il viso verso di me con espressione interrogativa.
“Allora?” chiesi con un sorriso stiracchiato.
Sembrò non capire, poi strinse gli occhi in una espressione di rammarico.
“La lettera!” esclamò. “Mi dispiace, non ce l’ho fatta proprio. Oggi non mi hanno fatto respirare.” Il suo viso era contrito, ma i suoi occhi mi fissavano attenti.
“Non ce l’hai un minuto, adesso?” chiesi quasi con disperazione.
Lei scosse la testa. “No, mi ha appena chiamato il grande capo. Gli devo portare subito questa roba e poi mi deve dare non so quali disposizioni.”
La mia faccia dovette esprimere tutto il mio disappunto.
“Mi dispiace.” ripetè con tono dolce.
“Non fa niente.” dissi invece con tono tagliente “Non era importante.”
“Hai detto che lo era.”
“Sì, ma non sapevo di Reggio Calabria. La presenterò un’altra volta. Ridammela”
Il mio tono era chiaramente infastidito, come il mio umore.
Lei era combattuta tra la necessità di andare subito dal capo e quella di esprimermi il suo dispiacere.
“Domani mattina sarà la prima cosa che faccio.” disse con convinzione.
“Non mi serve domattina.” replicai secco.
“Lo so, ma ho preso quest’impegno e lo voglio mantenere. La metterai da parte per la prossima occasione.”
“Non serve, davvero. Ridammela” dissi spazientito.
“Non te la do! Questa cosa la voglio fare.” Rispose piccata.
Sospirai con rassegnazione. “Non serve, dai. E poi non è nemmeno scritta bene. Preferisco comunque cambiare il testo.”
“Va bene. Tu cambia il testo e domattina me la porti che te la batto subito per prima cosa.”
“Intanto ridammi la lettera.”
“Tu portami la nuova ed io ti ridò la vecchia”
Stava mostrando un temperamento che non le conoscevo. Sbuffai. “Non intendo scrivere tutto da capo. Devo fare solo qualche correzione. Dai, dammela.”
I suoi occhi blu si fissarono dubbiosi nei miei. Poi si decise e malvolentieri prese la busta da una cartelletta e me la porse.
Prima di consegnarmela però la trattenne un attimo.
“Se domattina non mi porti la nuova versione…”
“Che farai?” chiesi con un debole sorriso.
“… non ti preparo la missione!… E non scherzo.”
Annuii col capo, le sfilai la busta dalla mano e mi girai per uscire.
“Ciao. Buona serata.” mormorai
Lei non rispose.
Mi chiusi la porta alle spalle e sentii improvvisamente dentro di me un gran magone.
Avrei potuto lavorare fino a tardi, anzi avrei proprio dovuto quel giorno, ma la paura che Chiara se ne andasse senza ricordarsi dell’impegno preso mi fece decidere di interrompere il lavoro e di uscire per tempo.
Arrivai alla sua scrivania e lì mi fermai platealmente.
Lei stava raccogliendo dei fogli in un contenitore e non mi badò subito. Franca non c’era.
Quando finalmente percepì la mia presenza alzò il viso verso di me con espressione interrogativa.
“Allora?” chiesi con un sorriso stiracchiato.
Sembrò non capire, poi strinse gli occhi in una espressione di rammarico.
“La lettera!” esclamò. “Mi dispiace, non ce l’ho fatta proprio. Oggi non mi hanno fatto respirare.” Il suo viso era contrito, ma i suoi occhi mi fissavano attenti.
“Non ce l’hai un minuto, adesso?” chiesi quasi con disperazione.
Lei scosse la testa. “No, mi ha appena chiamato il grande capo. Gli devo portare subito questa roba e poi mi deve dare non so quali disposizioni.”
La mia faccia dovette esprimere tutto il mio disappunto.
“Mi dispiace.” ripetè con tono dolce.
“Non fa niente.” dissi invece con tono tagliente “Non era importante.”
“Hai detto che lo era.”
“Sì, ma non sapevo di Reggio Calabria. La presenterò un’altra volta. Ridammela”
Il mio tono era chiaramente infastidito, come il mio umore.
Lei era combattuta tra la necessità di andare subito dal capo e quella di esprimermi il suo dispiacere.
“Domani mattina sarà la prima cosa che faccio.” disse con convinzione.
“Non mi serve domattina.” replicai secco.
“Lo so, ma ho preso quest’impegno e lo voglio mantenere. La metterai da parte per la prossima occasione.”
“Non serve, davvero. Ridammela” dissi spazientito.
“Non te la do! Questa cosa la voglio fare.” Rispose piccata.
Sospirai con rassegnazione. “Non serve, dai. E poi non è nemmeno scritta bene. Preferisco comunque cambiare il testo.”
“Va bene. Tu cambia il testo e domattina me la porti che te la batto subito per prima cosa.”
“Intanto ridammi la lettera.”
“Tu portami la nuova ed io ti ridò la vecchia”
Stava mostrando un temperamento che non le conoscevo. Sbuffai. “Non intendo scrivere tutto da capo. Devo fare solo qualche correzione. Dai, dammela.”
I suoi occhi blu si fissarono dubbiosi nei miei. Poi si decise e malvolentieri prese la busta da una cartelletta e me la porse.
Prima di consegnarmela però la trattenne un attimo.
“Se domattina non mi porti la nuova versione…”
“Che farai?” chiesi con un debole sorriso.
“… non ti preparo la missione!… E non scherzo.”
Annuii col capo, le sfilai la busta dalla mano e mi girai per uscire.
“Ciao. Buona serata.” mormorai
Lei non rispose.
Mi chiusi la porta alle spalle e sentii improvvisamente dentro di me un gran magone.
Uhm….
È sempre un piacere contare sulle tue approfondite disamine 😛
Uhm..mmmh…ah. 😀
A te, Fra Salvatore del Nome della Rosa ti fa un baffo 😛
Il problema e’che devo rileggere dal primo capitolo non li ricordo più’…..vergogna vergogna….
Ahahah, non ti invidio 😀
devo rileggerlo con calma. Oggi, assomiglio molto al tuo protagonista all’inizio del racconto quando legge l’articolo del giornale e le palpebre gli cadono dal sonno. Sono molto curiosa e ciò mi ha spinto a leggerlo in varie riprese. lo rileggerò con più calma ciao
.Questa lettera non finisce più!!. Ho un dubbio!! Non è che per pigrizia di rileggerti i capitoli precedenti, ti sei dimenticato la trama?
spiegami perché hai esordito con lo spauracchio del Cancro? 🙂
cmq l ho letto bene. ora appena ho lo spazio giusto mi riaggancio agli altri capitoli e poi esprimo il mio “verdetto finale” ahahahahhaah uaaaa che paura!!
Perché tu lo usi come il prezzemolo. Solo per quello.
… ma quelli del tuo segno son tutti così diffidenti? … non dirmelo! Non lo voglio sapere.
ma non è diffidenza…ne prezzemolo!! sono caratteristiche che ho ritrovato spesso comuni in tutti quelli del Cancro…compresa la mia mammetta… alla quale voglio un mondo di bene ma ha sempre soffocato le iniziative incredibilmente geniali di mio padre portandolo a scelte o rinunce di cui poi ci siamo pentiti un po’ tutti…lei compresa…
caratteristiche ritrovate anche in amicizie e conoscenze compresa la mia migliore amica….
cmq qui non è una questione di Cancro ok?
Ne’ qui, ne’ da un’altra parte. Ok? 😉
non mi son dimenticata….
Tranquilla, non ci sono scadenze 🙂
Dunque…concedimi margini di errori perché tu potresti avere in serbo nel finale i vuoti che mi si creano nella comprensione.
Per quanto riguarda la scrittura non ho dubbi… chiara, trasparente, interessante :invidiabile.
Lo sai non è una novità che ti leggo sempre con curiosità e interesse.
Qui ci sono anche i dialoghi che a me piacciono…
il punto è che non riesco a mettere a fuoco l intero racconto.
Diciamo che il racconto dovrebbe “raccontare” la trama. nella trama dovrebbero girare i personaggi che però li ritrovo proprio poco… Ok Michele mai sul luogo, ma Gianni? Francesco arriva una tantum ma non c’è uno spunto, un profilo che me lo descriva un attimo (non è imperativo, ma fa parte del racconto anche lui) Io leggo tante situazioni accennate e abbandonate … il primo capitolo improntato sul sogno, suppongo che ci sia un collegamento con quello che succederà però per ora niente…poi chissà perchè Bruno si mette in testa di cercare una ragazza e anche il secondo capitolo resto in stand by…cè l affittuaria della camera accennata ma scomparsa anche lei… mi piaceva il momento in cui lui li raggiunge al pranzo ma dopodichè se ne resta quasi sempre chiuso nel suo laboratorio.
Tecnicamente lui sta cercando il modo di scaricarla per via di insinuazioni e vocine di corridoio però quando Bruno è in zona Chiara – lei batte sempre sui tasti perché oberata dal lavoro e non ha un benedetto minuto però se Francesco le fa le fusa trova il tempo per rispondere addirittura sorridendo 🙂
Ti posso garantire che se un uomo piace ad una donna lei quella lettera la scriverà assolutamente! nell’intervallo…o rubando tempo al lavoro o inventando qualsiasi diavoleria ma la curiosità femminile prevarrà al 99%dei casi: Lei DEVE sapere cosa sta scritto nella lettera!!
hai gettato un sacco di spunti interessantissimi sul tappeto ma poi subito abbandonati e questa pizza che alla fine si è raffreddata e non se la mangia mai nessuno 😦 🙂
aspetto ovviamente il finale perché tutto potrebbe allocarsi nella sua casellina ! e poi ci sei tu….
” l ‘imparatore ” che spiegherai perfettamente le mie carenze!!
smackkkk
Ma lo sai che hai scritto il più bel commento fino ad oggi? 🙂 Preciso, puntuale e UTILE (chissà se alle altre commentatrici fischieranno le orecchie? 😀 ).
Non è facile scrivere un racconto, ma anche fare la disamina dei singoli capitoli, senza sapere come sarà il successivo, non è una passeggiata.
Vedrò di chiarire alcuni dei tuoi dubbi cercando di non bruciarmi il finale.
La prima cosa riguarda i personaggi di contorno. Non è detto che debbano “girare” per forza. Possono, ma non necessariamente. Sono stati inseriti sostanzialmente per due motivi: uno, per impegnare gli autori all’interno di una gabbia strutturale comune; due, per facilitare la lettura di tutti i racconti ai possibili lettori, in modo che ritrovassero più facilmente le varie connessioni tra un racconto e l’altro. Sono da considerare sostanzialmente come gli ingredienti secondari in una ricetta di cucina, chi mette un po’ più di questo e chi un po’ più di quell’altro. De gustibus. Per esempio: Franca è una bella ragazza, Gianni sta lì a dire che bisogna lasciarla stare, non solo come ragazza, ma anche come personaggio del racconto. Poi uno Gianni lo usa come meglio crede.
Per il resto è vero tutto ciò che dici: personaggi potenzialmente forti lasciati cadere. È stata una scelta ponderata, che prende vergognosamente a piene mani da due grandi della letteratura. 😳
I miei punti di riferimento sono stati Tolstoj e Calvino. Tolstoj per la caratterizzazione forte anche dei personaggi secondari e il Calvino di “Se una notte d’inverno un viaggiatore”, dove scrive un racconto fatto tutto di capitoli uno di altri (potenziali) racconti. Io ho applicato questa tecnica ai personaggi, non per sfizio, ma per funzionalità narrativa.
Mi spiego (spero): prova ad immaginare che tu decida di seguire la vita di uno sconosciuto per una settimana. Incontrerai sue vecchie conoscenze, qualcuna più di una volta, altre per caso, altre per pochi istanti. Lui farà anche nuove conoscenze, ma le approfondirà magari più avanti, quando tu avrai cessato di seguirlo. Tutte queste persone saranno comunque caratterizzate da una presenza forte, perché non sono passanti per strada.
Io ho cercato quindi di dare ad ognuno dei personaggi secondari una certa presenza, nonostante la consapevolezza che non si sarebbero più visti in scena, proprio per dare al lettore la sensazione di un ambiente vero, fatto di persone vere e non macchiette. E anche, naturalmente, per gettare qualche esca qua e la’ per tenere sveglia l’attenzione.
Sul resto che dici non posso rispondere perché il rischio di bruciare il finale è alto.
Posso solo aggiungere che ho ormai scelto tra le tre opzioni in ballo. Qual’era la tua?
sai che sei un bel tipo!!! dici a me che non è una passeggiata scrivere un racconto dovendo seguire un percorso imposto con personaggi scelti da te e scriverlo addirittura nell’arco di quattro settimane? Forse Calvino non sarebbe stato così pretenzioso Ciao
Anche tu come bel tipo non scherzi, direi. Con chi ce l ‘hai?
Intanto non dicevo a te, ma rispondevo al commento di Martina; poi la passeggiata era riferita a chi commenta i capitoli e non a chi li scrive; infine chi ha mai parlato di quattro settimane? È da quasi subito che ho tolto ogni tipo di vincolo temporale alla scrittura.
In ogni caso ti assicuro che Calvino sarebbe stato molto più pretenzioso.
Mi rivolgevo a te e non da arrabbiata finora ho letto commenti da chi scrive e pensavo che io fossi insieme con Martina e Ariel una tua appassionata lettrice pronta ad intervenire sui commenti . Ti riprendo dicendoti che quella specie di racconto l’ho scritto in quel vincolo temporale forse avrei dovuto sospenderlo e aspettare, ma è stato più divertente così. Calvino si sarebbe divertito un sacco e forse, ne avrebbe scritto un racconto Chiedo scusa a Martina per essermi intromessa ma non succederà più. Buona serata e buon proseguimento
Scusa Gabry, è sicuramente un limite mio, ma io non capisco il senso di questi tuoi due ultimi commenti 😦
Sembra quasi che ti sia sentita tirata in ballo come autrice. Con Martina si stava facendo un’analisi del mio capitolo nello spazio ad esso dedicato, e su questo puoi e devi intrometterti quando vuoi, ma tu commenti per giustificare ciò che hai scritto tu e onestamente non trovo il nesso.
Se volessi chiarirmelo.
Scusa Gabry…sei Dell ‘ Ariete?? 🙂 🙂
Sono uno scorpione e pungo ma sono leale e sincera Io sono solo intervenuta perchè mi sono fischiate le orecchie quando dice che non è facile scrivere un racconto ma anche fare la disanima dei singoli capitoli senza sapere come sarà il successivo. e siccome io, insieme a voi. sono lettrice ma anche autrice sono rimasta sbalordita e l’ho interpretata come una giustificazione alla tua critica. Ma forse avrò interpretato male!! La sua severità nel giudicare i nostri racconti mi ha contagiato.Ciao
La natura dello scorpione è pungere, ma prima di pungere i vecchi amici (sia pur solo virtuali), solo perché si ha l’impressione che siano diventati stronzi dalla sera alla mattina, ci si dovrebbe chiedere PRIMA, non DOPO se per caso non si sia capito male.
Se permetti ti spiego perché hai toppato.
Io ho detto che non solo non è facile scrivere un racconto, ma non è facile nemmeno fare un commento critico. È una considerazione ovvia, cosa c’è che non va?
Il riferimento al fischiare di orecchie era ironico e riguardava SOLO i commenti tuoi e di Ariel (non c’entravano assolutissimamente niente i racconti). Perché lo spirito di questa iniziativa non è solo scrivere, ma anche esaminare e criticare il lavoro degli altri. I commenti ai capitoli DEVONO essere critiche costruttive per aiutare sia chi legge e soprattutto chi scrive.
In questo caso particolare i tuoi commenti (rilèggiteli), così come quelli di Ariel, sono stati inutili per me come scrittore (scrittore si fa per dire). Da voi due non ho imparato niente su questo capitolo e non ho saputo nemmeno se vi sia piaciuto o meno. Spero che concorderai con questo.
Naturalmente ho preso i vostri commenti come spiritosi ed ironici nei miei confronti e come tali li ho accettati, ma alla prima occasione mi è venuto naturale darvi una tiratina d’orecchie per riportarvi alle regole del gioco (in fondo sono pur sempre ancora l’arbitro).
Ripeto i commenti devono essere costruttivi per dar modo all’autore di capire gli errori ed eventualmente correggerli. Sempre però in uno spirito di leggerezza e goliardia. In fondo siamo qui, lo ripeto per l’ennesima volta, per GIOCARE. Solo per giocare, non per prendersela, soprattutto quando si travisa ciò che si legge.
Che sia facile travisare quando si legge vale naturalmente anche per me: ci credi se ti dico che, nonostante abbia riletto attentamente più volte questo tuo ultimo commento, ancora non ho capito che cosa ti ha fatto saltare la mosca al naso? 😦
Be!! voi ve la cavate con le faccine io, rischio di essere interpretata come una che se la prende per nulla ma, non è così. Io sorrido con voi e gioco come una bambina . Ora voglio essere seria e dirti, che per la prima volta ti sento parlare come vorrei , sincero . Avrei voluto, che come arbitro avessi partecipato con noi e con le stesse regole, al racconto. Forse io avrei capito di più, nel leggerti, dove sbagliavo. In questo modo non riesco a capire, leggo un racconto scritto bene, senza errori, dove i personaggi noti, vengono ormai meccanicamente collocati nella giusta posizione ,non sò se perchè tu sai gestirli, o se hai imparato dai nostri errori.Sicuramente i primi tuoi capitoli mi sono piaciuti, ma poi hanno perso qualcosa, come se l’innamoramento si stesse perdendo. Come se l’autore,si sentisse obbligato a farlo dal suo protagonista è la mia sensazione nel leggerti. La distanza di tempo da un capitolo all’ altro non aiuta il lettore a giudicare è meglio aspettare il finale e poi leggerlo tutto in un fiato forse allora incomincerò a capire e a criticare Sei sempre il mio maestro e grande amico virtuale non ti pungerei mai Ciaooooooooo
Anch’io sono Scorpione ma il punteruolo e’ sempre girato verso me stessa 😦
Sto prendendo appunti poi passo … Essi che passo!!
pungo solo quelli che non sono del mio segno oppure solo i maschi devo correre al lavoro poi ci sentiamo ciao
Il commento fatto così già mi piace di più.
Non sono d’accordo solo su un paio di cose. La prima è quando dici che questa volta sono sincero, che vorrebbe dire che le altre volte sono stato falso e questo non mi piace per niente (stavolta faccio io il sostenuto). La seconda quando dici che avrei dovuto partecipare da subito per far capire meglio (però poi io decido di partecipare e tu dici che non capisci lo stesso). Il fatto è che nella vita non bisogna confondere mai i ruoli: l’arbitro deve fare l’arbitro e i giocatori devono fare i giocatori. Questo è un motivo, ma ce n’è un altro ancora più importante: la sfida era di scrivere un racconto basandosi su una trama, non di scrivere un racconto simile a quello di un altro. Tanto valeva che vi avessi invitato a scrivere con parole vostre, che so, Guerra e Pace. Almeno avreste avuto un riferimento ben più autorevole del sottoscritto.
Un conto è scrivere una storia già conosciuta, un altro è scrivere una storia basandosi su vaghi indizi. La prima cosa non l’avrei mai organizzata perché non la trovo interessante, la seconda era più intrigante e creativa, ma avrebbe avuto forse più senso se il numero dei partecipanti fosse stato elevato. Solo in conseguenza del fatto che gli autori erano pochi ho deciso di mettermi anch’io tra gli autori, giusto per fare numero. Poi naturalmente vengo accusato (tu l’hai fatto più volte) di essere avvantaggiato.
Per quanto riguarda la critica al capitolo (che è la cosa che più mi interessa) colgo alcuni aspetti interessanti. Ciò che mi colpisce di più è una sorta di delusione (comune anche a Martina) per il fatto che le cose non vanno nella direzione auspicata. Per me questo è un fatto positivo. Come autore voglio sempre spiazzare il lettore, a maggior ragione in un racconto di cui in teoria si sa già tutta la storia. I personaggi stanno nel posto giusto (Martina però sostiene il contrario), non per mia abilità o per aver imparato dai vostri errori, ma solo perché io la storia ce l’avevo già in testa prima di iniziare a proporla a voi.
Certo, come già detto ormai troppe volte, non è facile commentare una struttura narrativa come questa che abbiamo messo in piedi, ma non è nemmeno una scusa per non farlo. Io vi suggerisco, anche se ormai siamo alla fine (a meno che Ariel non si decida a mettersi a lavorare), a commentare i singoli capitoli come se fossero racconti autonomi, indipendenti gli uni dagli altri. In questo modo è più facile cogliere sfumature che magari rispondono già ai vostri dubbi.
Eccomi
conoscendomi sono andata a rileggere alcuni commenti che ti ho lasciato negli altri capitoli e anche se non sono stata brava a spiegarmi se devo farti una critica è sempre la stessa….tipo nei capitolo scorsi ti ho scritto…
“”non lo so…ci vedo sempre quel Bruno lì…(quello del Cancro ) Lui ha delle idee geniali e poi si intimorisce a buttarsi dentro e quindi resta sempre un po’ affacciato alla finestra…un piede dentro l altro fuori. Il capuzzino che sul più bello si ritira.
Quindi ci sono dei passaggi molto spiritosi e originali …vedi il “gabinetto” …o la guerra alle formiche o il disordine giustificato in modo troppo simpatico e appena ti aspetti che sale in un vortice di trasgressione, che so, di pazzia collettiva o semplicemente mi aspetto che metti la 5a…ecco che si ritorna in retro… Aspetto sempre di salire sulla giostra e allora sto qui con il biglietto pronto in mano!! “””
il senso è: butti tanta bella carne sul fuoco ma poi la lasci li….
mi sono subito resa conto che la nostra è stata fatica doppia nel cercare di interpretare le regole e quindi per noi è stato difficile muoverci in ambienti diversi quando tu invece sapevi bene come fare… l ho capito solo all ultimo capitolo così sono riuscita ad inserire la visita esterna del mio personaggio alla madre…hai fatto bene a metterti in gioco perché a volte dall’alto della scaletta l’ arbitro pensa di saper giocare a pallavolo e invece quando scende in campo magari non riesce a fare nemmeno la battuta 🙂
Inoltre noi non possiamo sapere che in questo racconto tu ti sei ispirato a Tolstoi o Calvino quindi per me resta “tanta roba sprecata”… 🙂
…Però
qui il titolo non era“Se una notte d’inverno un viaggiatore” e la trama non ti diceva di fare un viaggio al buio e parlare di strani personaggi incontrati nel viaggio ma bensì di fare scoprire a poco a poco una Chiara diversa da quella che immaginava al punto tale che invece di demotivarla nei suoi confronti… Bruno se ne innamora….
Qui Bruno ancora non si è innamorato ne tantomeno esposto con i lettori…(nel senso che se si è innamorato almeno ce lo deve dire a noi lettori altrimenti manca un pezzo) Di fatto è ancora contento che se se ne va fuori Roma a lavorare tutto andrà a posto da se…
Non potranno mai finire a nanna insieme e scoprirsi innamorati all’ultimo capitolo perché i personaggi sono relegati nell’ufficio e a questo punto lo troverei poco credibile….
La fine più logica che io intravedo è che lui riesca a vincere questa timidezza ” incredibile “( mi piacerebbe conoscerlo un’impacciato così!!) ma che il chiacchiericcio sull’infatuazione di Chiara fosse in realtà rivolto ad altra persona…che so anche Francesco… e che Bruno alla fine resti con un pugno di mosche in mano!!
😛 la linguaccia si fa spazio due punti e P maiuscola!!
Da quanto dici mi viene da pensare che tu non abbia letto il romanzo di Calvino oppure lo confondi con un altro. 😦
Ti invito quindi a (ri)leggerlo e poi discutiamo sulla “tanta roba sprecata” 😉
p.s. L’arbitro deve conoscere bene le regole del gioco, non saper giocare. Sono due mestieri diversi. Io, per esempio, non so fare nessuno dei due 😛
non ho detto che tu non sei sincero ma, che questa volta sei stato sincero. Le altre tergiversavi come se avessi timore di offendere, nel dire che il mio scritto non ti andava.Se avevi già nella testa la storia prima di proporla a noi, non è un vantaggio? La cosa che mi dà più fastidio non aver scritto una schifezza, ma non aver avuto la possibilità di capire come la dovevo scrivere in così poco tempo e quando l’ho capito non aveva più significato scriverla.Continuerò dopo perchè io devo rispondere di corsa ci sentiamo
te l abbiamo anche detto…ma se nn ricordo male hai detto che ti stava bene cos ì…!
❓
cosììì 🙂
riprendo il discorso che ti stavo facendo. La tua Storia è interessante insomma mi acchiappa, ma per giudicarla devo aspettare il finale.Solo allora analizzerò ogni singolo capitolo e forse capirò meglio le sfumature ciao buona serata
Certo che è un vantaggio, ci mancherebbe. Per questo io non dovevo partecipare.
Però, onestamente, forse all’inizio eravate troppo prese a contestare le regole che a impegnarvi per capirle a fondo. 😦
Arbitro e maestro ! Chi detta le regole è perchè ne sa più degli altri, ed è proprio il maestro che cerco in te, colui che insegna. Tu avevi la trama del racconto nella testa noi avevamo solo regole da rispettare. Difficile scrivere qualcosa di interessante ho scelto di rispettare le regole.Ma dal maestro pretendo di più . Che rispetti le regole e scriva un racconto interessante solo così mi può aiutare a capire.Ciao
Non è vero, voi avevate le regole e la trama, come me. Mi sono sfiancato a cercare di spiegare sia le regole che la trama. Alla fine avevate le stesse informazioni che avevo io. La differenza è consistita solo nel fatto che io ho pianificato tutto il mio racconto PRIMA di cominciare a scrivere.
La storia del maestro (de che?) poi non sta in piedi: quando a scuola ti affidavano un compito in classe chiedevi forse al maestro di farlo lui per primo? 😉
ti sei sfiancato per complicare di più le cose e hai pianificato tutto prima che scrivessimo anche noi.Mi appellerò alla presidenza
Bruno il tuo punto di domanda nn serve ….era la risposta a Gabri… il mio commento per te è più su!!!!
ti invito a ri-leggere bene il mio commento…:P
La linguaccia si fa spazio due punti e P maiuscola!! … separati dal testo e dalla punteggiatura 😛
Ero di fretta!!
Inviato da iPhone di Martina
a parte il fatto che anche Didi ha un libro di Calvino sul comodino…ti riporto la trama (fonte wikipedia 😦 ) del tuo sopracitato…
Il libro è formato da dieci capitoli inseriti all’interno di una cornice: i singoli capitoli in realtà sono costituiti da dieci incipit di altrettanti romanzi. La storia della cornice, che si sviluppa parallelamente alla lettura dei diversi incipit, narra invece del Lettore (chiamato esplicitamente Lettore) e Ludmilla (la Lettrice), e della loro storia d’amore, che segue uno schema narrativo tradizionale in cui non manca il lieto fine.
ecco la nostra trama invece era diversa 😛 spazio due punti pi maiuscola!!
anche Kay Scarpetta la leggevo tutta d un fiato…ma il finale mi deludeva sempre…. Era sempre il postino o il pizzarolo a domicilio psicopatico e il finale non centrava mai con tutto il racconto…
e poi …. aspetto di legger la fine!
aspettavi la mia teoria sul finale ….. quindi?
E chi ha mai parlato di analogie tra la nostra trama e quel particolare libro di Calvino? 😦
Io ho parlato di analogie tra i primi capitoli di racconti interrotti (o incipit come dice Wikipedia) di quel particolare libro di Calvino (non Calvino in generale) e i miei personaggi o situazioni interrotte (o roba sprecata come dici tu) usati come tecnica narrativa. Se è roba sprecata la mia che non vale niente cosa dire allora di Calvino che spreca tutti quei racconti?
Consiglio: sostituisci il libro sul comodino di Didi con quel particolare libro di Calvino e poi te lo fai spiegare 😛 😛 😛
Non dovrei commentare la tua teoria finale per non lasciare capire il mio finale, … mumble… però non sarà quella. ari… 😛
Non ho detto che non vale niente aho! Al massimo e’ il contrario…sprecata perche’ lasciata li… Il resto e’ solo x dirti che non ho visto molto raccontare la “trama” in quanto tale prrrr 😛
Inviato da iPhone di Martina
L’ho detto io infatti. Ma se non sai leggere nemmeno i commenti come puoi pretendere di capire il mio mostruoso capolavoro psico-analitico-intergalattico 😉
Nn ricordo come si fa la faccina rossa!! 🙂
Comunque … Figuriamoci se lasci Bruno con u pugno di mosche !!! Ha già litigato con le formiche… 😛
ohh perbacco mi sono persa tutto questa pregnante discussione..io sto continuando la storia e la pubblicherò’ tutta insieme giusta o sbagliata che sia! Tante pacche e baci otto a tutti.!…( scusa B se non ti son di utilità’ critica ma il tempo e’ tiranno)
Mi fa piacere apprendere che stai lavorando 😛
Io ho quasi terminato il mio ultimo capitolo e non sarebbe male che subito dopo tu ne inserissi almeno uno dei tuoi per mantenere alta l’attenzione (si, vabbé, questa faceva ridere). 😀
p.s. Io accetto critiche anche di una riga al giorno 😛
posso rimaneggiare i capitoli già’ scritti? Si vero ? Grazie:-) sai Bruno la differenza tra noi è’ grande .io sono più’ essenziale quasi scarna tu abbondi.per dire che il nostro eroe e’ stanco ci metti un tot di paragrafi scritti bene ehh ma non ne bastava la metà’?e poi una lettera…trovata ottima ma capperi da sterminar lo a colpi di schedario! Ma compra due pizze ed inchiodala con un bacio tra i cartoni e la stampante! Sorprendila! Si va bene la trama ma mi sembra un 14 enne….insomma qui mi sembra più’ la labirintica scrittura di Marquez che Calvino …tanto torna sempre al punto di partenza! Uahuahuahuah…oh….me lo hai detto tu di dirti cosa penso……dai dai ti puoi vendicare presto!
Analisi perfetta! Domani ti rispondo, ora vado a nanna… Ah, sì, certo che puoi rimaneggiare quanto già scritto.
Vabbè, se non è Calvino mi accontento di Marquez 🙂
Quello che sottolinei è l’eterno dilemma degli scrittori: dov’è il limite tra stenografia e barocco? Ognuno cerca di posizionarsi al meglio, secondo anche i propri obbiettivi.
Sul quattordicenne sono d’accordo. Se dà quell’impressione ho raggiunto l’obbiettivo. Infatti io descrivo sostanzialmente un diciottenne nel 1970, quando la rivoluzione sessuale era appena agli albori in un paese dalla forte morale cattolica e quando in gran parte d’Italia i matrimoni venivano combinati. Forse non sarà stato equivalente ad un quattordicenne di oggi, ma non era molto lontano.
L’impressione che ho avuto è di non aver ben evidenziato questo aspetto, visto che tutte voi lettrici sembra lo vediate come un uomo maturo tremendamente imbranato. È un ragazzino e si comporta da ragazzino.
Tra l’altro la trama parla esplicitamente del protagonista come di un ragazzo imbranato, però sorprendentemente, invece di buttarvi sull’adolescenziale avete tutte scelto un uomo maturo e questo rende più problematica la gestione del tema. Ma avremo modo di parlarne a compiti finiti.
Sul fatto poi di inchiodarla tra cartoni e stampanti con un bacio, è una scena molto efficace e sintetica, anche se poco romantica, però non è coerente. Il protagonista non è innamorato (almeno ancora non lo sa) e non ha nessuna intenzione di baciarla, anzi la vuole liquidare. Il senso della trama è che non riesce a liquidarla.
Uhm…mi sa che non sa cosa vuole.almeno L’ impressione e’ questa .Sai Bruno ci sono tantissimi uomini forti tra virgolette che fanno concorrenza al tuo uomo! …si la mia del bacio era una boutade non praticabile forse anche se un bacio rubato ed…imbrancato ci poteva stare come prova della serie come mi sentiro’se la bacio? ..ed io credi non sono un tipo romantico…pensa se lo pugnala con le forbici! Si va bene rinsavisco…dicevamo…la vuole liquidare…sicuro sicuro?? ..non ci credo 🙂
Eccerto che non sa cosa vuole! Altrimenti il gioco era bell’e finito. 😀
Almeno il mio uomo non pretende di essere “forte” e “sicuramente” non è sicuro sicuro di niente 😉
Furbo ….finale a sorpresa ! Bacio bacio bacio!
aspetto con ansia i vostri racconti buona serata a tutti
parto da qui perché mi trovo piuttosto d’accordo con Ariel. E’ un po’ troppo arzigogolata la questione lettera/pizza… vero che un diciottenne imbranato ma anche vero che una volta gli uomini erano si più imbranati ma anche più decisi. Molti a vent’anni si sposavano e mantenevano una moglie a casa con prole….comunque aspettavo l’epilogo per capirne di più.