Lunedì: l’appostamento

Piazzale-Flaminio

Quella mattina, quando scesi dal trenino per andare in ufficio, ero dibattuto tra una certa euforia ed una grossa titubanza. Le mie lunghe gambe avevano una preoccupante tendenza ad accelerare il passo e contemporaneamente a rallentarlo. Per fortuna il percorso tra la stazione e l’ufficio era breve. Però era breve anche per sfortuna.
Vivevo due stati d’animo contrastanti. Da una parte mi eccitava l’idea di rientrare in un ufficio idealizzato dal sogno del sabato e ritrovarvi quindi le stesse emozioni; dall’altra invece la mia decisione di affrontare Chiara per definire tutta questa faccenda si scontrava col mio cuore piuttosto pavido in certe cose.
Normalmente, quando infilavo il portone di ingresso, affrontavo le scale che portavano all’ufficio, situato al primo piano, a due gradini alla volta. Non così quel giorno. In pratica i gradini li contai uno ad uno e quando arrivai al pianerottolo non avevo ancora stabilito una tregua tra le mie contrastanti sensazioni.
Dietro la porta udii un certo brusio, il che significava un sicuro affollamento mattutino nell’ingresso; c’era quindi la concreta possibilità che nella confusione non venissi troppo notato.
La scrivania di Chiara si trovava proprio di fronte alla porta; infatti era lei in genere che, in conseguenza di ciò, accoglieva per prima i visitatori. Ed era lei che alzava per prima la testa quando la porta si apriva, per vedere chi stava entrando. Quindi dovevo fare attenzione a non buttare subito gli occhi nella sua direzione per evitare di incrociare i suoi, cosa che mi avrebbe certamente messo a disagio; decisi di entrare rivolgendo invece lo sguardo verso Franca, la cui scrivania era spostata un po’ più indietro sulla destra.
Aprii lentamente la porta e tirai un sospiro di sollievo. Il piccolo atrio era in effetti affollato di gente appena arrivata che si stava soffermando a chiacchierare e a salutare.
Intravidi Franca al suo posto di lavoro, in piedi a braccia conserte, che parlava con Rossella ed Adriana e non fece caso al mio ingresso. Quando mi azzardai a lanciare un’occhiata verso Chiara vidi che era china presso uno scaffale a cercare qualcosa, seminascosta dalla scrivania, mentre un impaziente Chiodini la sovrastava in attesa che gli venisse consegnato quanto richiesto. Mi intrufolai in mezzo alle persone mormorando un sommesso “buongiorno” e con gli occhi bassi sgattaiolai a sinistra, lungo il corridoio in fondo al quale c’era il laboratorio. Quando passai forzatamente vicino alla postazione di Chiara le lanciai un’altro veloce sguardo con la coda dell’occhio, ma vidi solo i suoi capelli neri che le coprivano il viso e neppure lei mi notò.
Arrivato al mio posto di lavoro mi lasciai cadere subito sulla sedia senza nemmeno chiudere la porta. La giornata sembrava essere iniziata col piede giusto; ora avevo tutta la mattinata per prendere il controllo della mia emotività e cercare di comportarmi nel modo più naturale. Oltre naturalmente a studiare una adeguata strategia.

Siccome la notte porta consiglio, come si dice, io la notte l’avevo passata a rigirarmi inquieto nel letto. Più per la presenza ossessiva della espressione esaltata del poliziotto che per il problema di Chiara e dell’ufficio. Al Bar però, di fronte alla quotidiana pastarella fragrante del mattino, avevo avuto l’idea che considerai vincente: una pizza. Potevo portare Chiara in pizzeria una di queste sere e lì, di fronte ad una pizza calda ed una birra (nel suo caso mi immaginavo una coca cola), sarebbe stato più semplice parlare francamente di questa faccenda. La pizzeria era un po’ il mio regno visto che ci passavo praticamente tutte le sere. Mi sentivo come a casa mia senza l’impiccio di sguardi interessati e curiosi. Sì, si poteva fare.
In fondo non è che fosse un impegno così complesso da affrontare in giornata; dovevo solo cercare il modo di avvicinarla e invitarla a mangiare una pizza. Cosa c’era di più normale tra due giovani? Certo dovevo mostrare molto tatto per evitare che lei si facesse illusioni sulla causa di quell’invito. In ogni modo le illusioni sarebbero finite presto; prima di arrivare al conto le avrei già detto: “Mi dispiace, ma non si può fare”. Magari cercando di usare parole un po’ più adeguate.

Al contrario di quanto mi ero aspettato, essere rientrato in ufficio non mi aveva emozionato come nell’atmosfera del sogno. L’impatto con la banalità del reale mi aveva riportato coi piedi per terra. Tutto era come era sempre stato, grigio e noioso. Questo mi aveva deluso. Solo l’aver intravisto Chiara mi aveva un po’ agitato.
Giustificai la cosa pensando che in fondo era naturale, considerato che con Chiara dovevo pur confrontarmi prima della fine della giornata, ma ora, seduto alla mia scrivania, circondato dal mio mondo solito e solido, anche lei finì per apparirmi presto banale come tutti gli altri. Però questo confronto lo dovevo per forza fare e il pensiero mi infastidiva e mi rendeva già titubante.
Scrollai le spalle, probabilmente prima di sera la faccenda si sarebbe risolta da sola. Probabilmente tutta questa storia era una mia fantasia che avevo frainteso. Probabilmente Chiara se ne fregava del sottoscritto ed al mio invito per una pizza mi avrebbe semplicemente risposto di no. Punto.
A questa ipotesi piuttosto verosimile mi sentii sollevato. Niente beghe, niente lacrimucce fastidiose da consolare e soprattutto basta con le allusioni degli amici: “Chiara, dite?! Beh, con Chiara ci ho provato se proprio lo volete sapere, ma non sono il suo tipo. Quindi non rompetemi oltre”.
Così rinfrancato mi accinsi al mio lavoro quotidiano cominciando a mettere i campioni d’acqua nelle provette e a preparare e mettere in ordine i fogli per le trascrizioni dei risultati.
Chiara però, riflettevo, avrebbe anche potuto accettare. D’altronde accettare un invito per una pizza non significa mica essere per forza innamorati.
Questa era una possibilità che presentava una qualche complicazione in più. Se non facevo attenzione rischiavo una figuraccia storica.
“Sai Chiara, devi capire, io non sono innamorato di te”
E lei che mi risponde:
“Ma che stai a di’? Come ti è venuto in mente?”
Dovevo sondare il suo pensiero con estremo acume.
Glielo avrei detto indirettamente, certo! Avrei parlato per tutta la serata della ragazza (inesistente) che avevo a Ravenna, che amavo tanto e che presto ci saremmo sposati. A buon intenditor.
Nel frattempo il brusio all’ingresso era andato progressivamente calando e dopo un po’ cominciò il solito ticchettio delle macchine da scrivere delle due segretarie, mentre dalle altre stanze si sentivano solo provenire delle deboli voci soffocate.
Ogni tanto il telefono squillava in fondo al corridoio e sentivo la voce di Chiara rispondere (Franca lasciava a lei questa incombenza) e ogni volta avevo un piccolo sussulto, ma notai con dispetto che non era lo squillo del telefono a disturbarmi bensì la voce di lei. Mi alzai e andai a chiudere la porta e mentre tornavo al tavolo di lavoro mi diedi dello stupido. Era solo un invito ad una pizza, cavolo!

A metà mattinata non avevo ancora deciso una precisa strategia. Non potevo lasciar passare il tempo così, bisognava che mi impegnassi. Difficilmente lei si sarebbe presentata sulla porta del laboratorio a chiedermi se la portavo a mangiare una pizza quella sera.
Decisi di fare un’incursione alla postazione delle segretarie. Se mi diceva bene avrei trovato Chiara da sola; magari Franca era in amministrazione o in direzione. Era una cosa che capitava spesso.
Aprii con cautela la porta del laboratorio. Si sentiva in effetti una sola macchina da scrivere, ma non significava nulla. Il corridoio era deserto. Dietro la porta della sala disegni, sulla mia destra, si udiva la voce di Gianni che dava disposizioni e quasi contemporaneamente dal fondo del corridoio, dietro l’angolo dove stavano le segretarie, sentii parlottare. Erano tutte e due lì.
Tornai indietro, ma lasciai la porta aperta. Avrei aguzzato l’udito per tutto il giorno per captare il momento opportuno e appena avessi avuto sentore che Chiara era sola mi sarei buttato.
Le due segretarie, contrariamente a me, quel giorno lavoravano sodo. Una macchina da scrivere non si fermava mai, mentre l’altra ogni tanto si aggiungeva per breve tempo e poi cessava. Spesso le due ragazze parlottavano tra loro e ogni tanto si sentiva la risatina caratteristica di Chiara che la rendeva particolarmente simpatica a tutti, mentre quella di Franca invece era più gutturale.
Ad un certo punto si aggiunse una voce maschile, probabilmente Ratti dell’Amministrazione, e Franca dialogò un po’ con lui, poi una porta si chiuse e rimase solo il ticchettio regolare di una sola macchina da scrivere. Non si sentì più parlottare. Dieci a uno che Chiara era sola. Franca probabilmente era stata chiamata in Amministrazione.
Era un’occasione unica per me. Dovevo buttarmi. Però dovevo anche improvvisare una scusa per non sembrare che andavo da lei apposta. Doveva sembrare che ero lì per un altro motivo, avrei fatto un po’ lo spiritoso e avrei portato il discorso sulla pizza.
Afferrai al volo una matita e mi avviai deciso lungo il corridoio, in fondo al quale stavano nascoste alla mia vista le postazioni delle due segretarie.
Quando arrivai all’angolo mi si gelò il sangue. Chiara era intenta a battere una lettera copiandola da un foglio alla sua destra, perciò teneva la testa girata verso il lato opposto a dove ero io. Non mi vide e non mi sentì. In compenso mi vide benissimo Franca che invece mi trovai di fronte e che, intenta a leggere un foglio, alzò la testa a guardarmi.
“Pensavo non ci fossi oggi. Non ti abbiamo visto arrivare” disse.
Chiara, nel sentire la voce di Franca, girò la testa prima nella sua direzione e poi, seguendo il suo sguardo, tornò a girarla dall’altra parte e portò i suoi occhi su di me.
“Guarda chi c’è”, disse con un sorriso ironico.
Cercai velocemente di superare l’imbarazzo montante:
“C’era un po’ di movimento questa mattina ed eravate piuttosto impegnate.” Abbozzai. “Comunque io ho salutato.” aggiunsi con tono scherzosamente formale e portandomi una mano al petto, ma con voce insicura.
“In effetti oggi è una giornataccia” disse Chiara riprendendo a battere sui tasti. “Scusaci se non abbiamo risposto al tuo saluto.”
“La prossima volta urla” aggiunse Franca sorridendo. “Stiamo diventando un po’ sorde con queste maledette macchine sempre in movimento.”
“Avevi bisogno di qualcosa?” chiese poi.
Girando nervosamente la matita tra le mani quasi balbettai:
“Mi è caduta la matita sotto ad un mobile. Me ne servirebbe una nuova”
Chiara interruppe la battitura e si girò a fissarmi le mani.
“E quella cos’è? Un’astronave?”
Non so la faccia, ma sicuramente le orecchie mi avvamparono.
“No, dai, volevo dire che mi serve la gomma, … Che cavolo, mi è caduta la gomma, non la matita”.
“Anche stare sempre soli in laboratorio fa rincoglionire, come si vede, altro che le vostre macchine da scrivere.” aggiunsi a giustificazione, con una risatina forzata.
Chiara fece una piccola smorfia che le evidenziò una fossetta sulla guancia sinistra, mentre si chinava ad allungare una mano sotto la scrivania per prendere quanto richiesto, mentre Franca commentava:
“Se ti senti solo vienici a trovare più spesso. Anche noi ci sentiamo tanto sole a volte. Soprattutto Chiara soffre di solitudine. Vero?”
Le orecchie mi si infuocarono. Chiara non replicò e si limitò ad appoggiare la gomma sul piano della scrivania tornando subito al suo lavoro. Forse anche le sue orecchie, che sbirciavano di tra i capelli lisci,  erano diventate rosse?
“Terrò presente. Grazie.” dissi con un sorriso striminzito prendendo la gomma.
Dondolai un attimo tra una gamba e l’altra e, visto che nessuna delle due ormai mi degnava più, mi girai verso il corridoio e tornai mogio da dove ero venuto, mentre alle mie spalle sentii la voce di Franca che mugugnava qualcosa. Sicuramente stava commentando le mie di orecchie rosse.

Arrivato in laboratorio scagliai con rabbia la gomma contro il muro e dovetti anche abbassare la testa perché nel rimbalzo stava per colpirmi in faccia.
Ecco fatto, la mia strategia era già andata a puttane. Decisi che per quel giorno avrei fatto meglio a rinunciare. L’avrei invitata in un’altra occasione, quel giorno non ero in forma. Ero troppo nervoso. Quanta fatica per una pizza.
Mi tuffai completamente nel lavoro e riuscii per un po’ a non pensare più al problema.

Verso mezzogiorno mi tornò l’angoscia. Dovevo decidere come comportarmi nella pausa pranzo. Andare con loro al ristorante o farmi come sempre un panino? Entrambe le ipotesi avevano i pro e i contro.
Andare a pranzo con loro sarebbe apparso casuale senza destare troppe attenzioni, ma sarebbe apparso anche un evento abbastanza straordinario, come straordinaria era già stata la mia impacciata comparsa a metà mattinata. E due straordinarietà potevano incuriosire qualcuno; Franca in particolare. Inoltre c’erano troppi occhi ad osservare un mio approccio a Chiara.
D’altra parte il non andare avrebbe poi reso ancora più straordinaria qualunque eventuale iniziativa avessi preso nel corso del resto della giornata se lei e gli altri non cominciavano in qualche modo ad abituarsi ad una mia presenza più assidua.
In ogni modo la decisione era comunque nelle mani del caso; in qualunque momento mi fossi presentato all’uscita di pranzo la possibilità che venissi invitato ad aggregarmi era pari a quella che nessuno mi degnasse. A meno che Franca non avesse già subodorato qualcosa.
Quella ragazza cominciava ad intimorirmi e mi si insinuava il timore di mostrarmi più impacciato con lei che con l’altra.
La decisione la presi io. All’intervallo di pranzo aspettai che tutti fossero usciti e il silenzio calasse nell’azienda e poi mi affacciai nel corridoio per correre velocemente alla porta. Mi fiondai inosservato a Piazzale Flaminio, dove comprai un panino e una birra, e tornai in tutta fretta in laboratorio a consumare lì il mio pasto. Se qualcuno mi avesse chiesto qualcosa al proposito potevo sempre trovare la scusa di un lavoro urgente o un’analisi che non potevo interrompere. Se fossi restato fuori come al solito a leggere il giornale avevo paura di trovarmi coinvolto nel gruppo quando fosse rientrato dal ristorante. Non ero ancora pronto.
Chiuso lì dentro elaborai la mia nuova strategia per il resto della giornata: evitare di farmi vedere.
Sarei invece uscito all’orario di chiusura prima delle segretarie e poi avrei intercettato Chiara per strada come se mi fossi trovato a passare per caso. La mattinata a quel punto sarebbe stata ormai un vago ricordo, il mio atteggiamento sarebbe tornato il solito e un incontro casuale per strada non avrebbe destato nessuna attenzione, anche se non era mai successo prima.

Il pomeriggio lo passai quindi a recuperare il lavoro che non avevo svolto durante la mattina, anche grazie al fatto che avevo chiuso la porta del laboratorio e acceso come al solito il mio mangiacassette per evitare distrazioni e pensieri inutili.
L’agitazione mi riprese invece quando cominciò a farsi ora di uscire. Io non ero legato rigidamente all’orario di ufficio. Ero pur sempre un tecnico di campagna, e avevo quindi una certa flessibilità rispetto allo staff. Così se uscivo prima o dopo gli altri non era una cosa inconsueta. Il problema per me era passare davanti a Chiara e comportarmi normalmente. Il fatto poi di rendermi conto solo in quel momento che la mia totale scomparsa, dopo l’episodio della gomma, fosse ben lungi dal sembrare normale non mi aiutava di sicuro.
Presi la mia borsa e mi infilai deciso lungo il corridoio. Con le segretarie c’era anche Gianni in attesa di uscire. In genere Gianni era una persona che mi incuteva un po’ di soggezione, ma in quel momento fui contento di non essere solo. Invece di andare subito verso la porta mi diressi platealmente alla scrivania di Chiara e dissi uno stentoreo “Buonaseeraa! Prendete nota che io vi ho salutato.”
Le due ragazze si inchinarono leggermente e quasi all’unisono risposero con un altrettanto stentoreo “Buonaseeraa!!”.
Solo Gianni non rispose al saluto e mi guardò perplesso mentre mi chiudevo la porta alle spalle.

Uscii in strada e svoltai quasi di slancio l’angolo con la via Flaminia. Onestamente non avevo idea di dove poter andare ad aspettare l’uscita di Chiara. Così camminai fino al piazzale e poi iniziai a fare su e giù, tenendo d’occhio l’angolo dell’edificio da dove gli impiegati sarebbero sbucati, chiedendomi contemporaneamente chi me lo stesse facendo fare.
Ero comunque fiducioso, la presenza di Gianni significava forse che avrebbe portato via Franca prima del solito e che quindi Chiara sarebbe uscita da sola. Una situazione ottimale che non mi sarei lasciato sfuggire.
Quando, dopo aver guardato diverse volte l’orologio, ritenni che il momento della probabile uscita fosse giunto, mi incamminai lentamente di nuovo verso l’edificio per far sembrare proprio casuale l’incontro. Però da quella parte non arrivava nessuno nonostante rallentassi sempre più il passo, tanto che alla fine giunsi a svoltare lo stesso angolo che avevo già svoltato al contrario qualche minuto prima. Mi ritrovai così di fronte al portone chiuso senza sapere cosa fare.
Ad un certo momento sentii all’interno un vociare caotico e numerosi passi che scendevano le scale. Scappai precipitosamente verso via Flaminia e la attraversai velocemente facendo slalom tra le macchine bloccate dal traffico del rientro serale, girandomi poi a vedere chi stava uscendo dall’ufficio. Tutti. Stavano uscendo tutti insieme. Franca, Gianni, Rossella, Adriana, Ratti, tutto lo staff si riversò in strada ridendo e ciarlando. Con Chiara là in mezzo. Irraggiungibile per quella sera.
Puntarono dritto alla fermata degli autobus di Piazzale Flaminio e non mi notarono dall’altra parte della strada. Li seguii con lo sguardo nella flebile speranza che Chiara ad un certo punto rimanesse sola ad aspettare il suo bus. Cosa che non avvenne. Chiara dopo un po’ non era più nel piazzale, come non c’erano più gli altri.
Allora anch’io mi incamminai verso il piazzale, ma quando lo raggiunsi svoltai a sinistra per dirigermi alla stazione del trenino che mi avrebbe portato a Labaro. La pizza quella sera l’avrei mangiata da solo, come tutte le altre sere.

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9 risposte a Lunedì: l’appostamento

  1. kettyblue ha detto:

    Questo mi è piaciuto meno… mi sembra un po’ tirato, come quando a scuola o agli esami devi riempire il foglio di protocollo…
    opinione a caldo, ovviament, come dice la nostra amica, magari alla seconda lettura potrei cambiare parre e cogliere meglio qualche sfumatura che mi è sfuggita…

    • Bruno ha detto:

      Che strano. Dei tre questo invece è quello che mi è venuto più di getto, senza tirature di sorta (quello precedente ammetto di averlo stirato un po’). Tra l’altro è anche quello che mi piace di più 😦

  2. arielisolabella ha detto:

    e’buffo notare che l’autore vive la sua opera spesso in modo diverso rispetto al lettore…io devo rileggerlo..!!!

  3. Martina ha detto:

    Guarda che non mi sono dimenticata di te ma soprattutto del racconto.
    Ho capito cosa mi perplime. In effetti non riesco a trovare gli anelli di congiunzione tra i capitoli. Molto dettagliati singolarmente ma poi non vedo gli agganci tra uno e l altro. Detto ciò non sono convinta che non ci siano, piuttosto che manchi ancora qualche capitolo per amalgamarsi il tutto.
    Per quanto riguarda questo capitolo in effetti mi mette l’ ansia. Immergendomi nei panni di Bruno lo sento troppo agitato, insomma ansioso. La difficoltà nell invitare Chiara a mangiare la pizza pittosto che comunicare direttamente con lei…o tentare l approcio singolarmente fuori… mi mette in agitazione. Dovrei? In fondo siamo colleghi…conoscenti…è così difficoltoso comunicare tra colleghi?… Sì, può esserlo e quindi mi mette in asia! Invece sarà perchè prediligo i dialoghi. Mi diverto e li recepisco diversamente. Hai reso completamente l’idea di un Bruno che impacciato rientra nel suo studio e si fa rimbalzare la gomma in faccia….
    Nell insieme concordo con Ketty a tratti. In questo vedo la descrizione di Bruno più caratteriale e mi sembra che sia un tipo simpatico ma ancora in conflitto col suo io.
    e poi?
    …aspetto…il prossimo.

    • Bruno ha detto:

      Onestamente non ho capito la cosa degli anelli di congiunzione; a me sembra che le congiunzioni siano ovvie: sogno->ragazza->quella ragazza!
      No, non sono colleghi; checché ne pensi il protagonista in questa fase la realtà è che sono di fronte un ragazzo ed una ragazza e lui non è ancora pronto ad un confronto su questo terreno. Se l’agitazione che ti trasmette è dovuta al tratto caratteriale del protagonista è buona cosa, vuol dire che c’è materia di riflessione; se invece è dovuta al cattivo scrivere è brutta cosa (per me) 😦
      Sui dialoghi naturalmente è questione di preferenze; personalmente non amo la tecnica di usare i dialoghi (spesso sotto forma di monologhi) per sbrigarsi a descrivere delle situazioni che invece dovrebbero comportare una scrittura più complessa e più lunga. In questo avete peccato entrambe, tu e Ketty.
      Dovrei scrivere altro, ma qui ha cominciato a tuonare ed è bene che metta in sicurezza il pc prima che salti la corrente 😦

  4. Martina ha detto:

    Dai non essere riduttivo 🙂 su sei fogli ce ne sarà mezzo di dialogo. Mi sento a volte noiiosa scrivere troppo e attraverso la mente di Bruno.
    Non è per lo scrivere è che mi trasmette proprio l ansia questo povero Bruno che le tenta tutte per questa benedetta pizza!
    Tu che hai il quadro totale ci vedi molto più chiaro di me…invece a volte non li ritrovo così facilimente i collegamenti…ma sono sicura che il cerchio si chiuderà! Io e ketty non abbiamo peccato abbiamo accontentato il nostro targhet di lettori! 😛
    ora torno anche io al mio cinema 🙂
    kyz

  5. gabriarte ha detto:

    Devo leggerlo tutto in una volta per dirti se mi piace ,questo pezzo lo trovo un pò pesante da solo,anche se scritto benissimo, Un Bruno, e parlo del protagonista, che mi piace per il suo temperamento all’inizio del racconto ma che adesso, anche se si stà innamorando, perde un pò di personalità e quindi interesse per me che sono lettrice. Naturalmente l’autore è sempre interessante CIAOOOOOOOO

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